ARCHIVIO Sito Associazione Laima » Articoli http://www.associazionelaima.it QUESTO SITO NON È PIÙ ATTIVO, rimane in linea come documentazione storica Fri, 14 Mar 2025 10:18:07 +0000 it-IT hourly 1 Intervista a Martha Toledo Martinez http://www.associazionelaima.it/blog/intervista-a-martha-toledo-martinez/ http://www.associazionelaima.it/blog/intervista-a-martha-toledo-martinez/#comments Thu, 09 May 2013 10:22:23 +0000 http://www.associazionelaima.it/?p=1494  

Martha Toledo Martinez Foto di Salvatore Catalano

Martha Toledo Martinez
Foto di Salvatore Catalano

Pubblichiamo l’intervista di Ilaria Beretta per AAM TERRANUOVA a Martha Toledo Martinez, esponente della comunità matriarcale di Juchitan, traduzione di Sara Ramadoro.

 

 

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Eco Radio intervista Morena Luciani http://www.associazionelaima.it/blog/eco-radio-intervista-morena-luciani/ http://www.associazionelaima.it/blog/eco-radio-intervista-morena-luciani/#comments Mon, 22 Apr 2013 10:57:04 +0000 http://www.associazionelaima.it/?p=1427  

Morena Luciani

Morena Luciani

Rendiamo disponibile un’intervista a Morena Luciani, presidente dell’associazione Laima, su Eco Radio.

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Le Donne e l’Economia del Dono http://www.associazionelaima.it/blog/le-donne-e-leconomia-del-dono/ http://www.associazionelaima.it/blog/le-donne-e-leconomia-del-dono/#comments Thu, 18 Apr 2013 21:11:20 +0000 http://www.associazionelaima.it/?p=1413 Estratto dall’introduzione a Le Donne e l’Economia del Dono

Una visione radicalmente diversa del mondo è possibile

di Genevieve Vaughan

Traduzione Luisa Vicinelli

 

Genevieve Vaughan

Genevieve Vaughan

 

 

 

Penso che parlando di un’economia del dono, noi stiamo nominando qualcosa che stiamo già facendo, ma che viene celata sotto una miriade di altri nomi e che è tanto irrisa quanto fraintesa. E’ importante cominciare a far circolare il suo nome e a fare conoscere la sua presenza in molti e diversi ambiti della vita. E’ importante ricreare anche le connessioni, che sono state recise, tra l’economia del dono, le donne e le economie delle popolazioni indigene, e proporre il paradigma del dono come un approccio che ci può aiutare a liberarci dalla visione di mercato che sta distruggendo la vita sul nostro bel pianeta…

 

Un’analisi che colleghi i diversi livelli e aree di vita sulla base di un paradigma alternativo, può suggerirci che molto di quello che il patriarcato ha messo in gioco è artificioso e non necessario. Un paradigma alternativo che veda le donne come modello dell’umano e il patriarcato come fondato sul rigetto da parte dei maschi della loro propria umanità (femminile) può fornire le basi di un programma politico che superi le divisioni del presente. Una cornice del tutto diversa può rendere possibili strategie differenti ed eliminare alcune soluzioni che potrebbero riportarci tutti (donne e uomini) sotto il controllo patriarcale in forme diverse.

 

Per fare una tale analisi noi distinguiamo fondamentalmente tra il donare da un lato e lo scambio dall’altro come due logiche distinte. Nella logica dello scambio, un bene è dato per ricevere in cambio il suo equivalente. Viene fatta un’equivalenza di valore, una quantificazione e una misurazione. Nel dono, uno dà per soddisfare il bisogno di un altro e la creatività nell’usare i doni di chi riceve è importante quanto la creatività del donatore. L’interazione del dono è transitiva e il prodotto passa da una persona all’altra creando una relazione di inclusione fra chi dona e chi riceve tramite quello che viene dato. Il donare implica il valore dell’altro, mentre la trans-azione dello scambio, fatta per soddisfare i propri bisogni, è autoriflettente e implica solo il proprio, di valore. Donare ha un aspetto più qualitativo che quantitativo, è orientato verso gli altri piuttosto che verso il proprio ego, è includente piuttosto che escludente. Il dono può essere usato per diversi scopi. La sua capacità di creare relazioni fa nascere la comunità, mentre lo scambio è un’interazione tra avversari e crea individui separati centrati su se stessi.

 

La nostra società ha basato la distribuzione sullo scambio ed è l’ideologia dello scambio che permea il nostro pensiero. Per esempio, noi ci consideriamo “capitale” umano, scegliamo il compagno al “mercato del matrimonio”, basiamo la giustizia sul far “pagare per i crimini”, giustifichiamo le guerre con la “rappresaglia” (fargliela pagare) e barcolliamo sull’orlo degli “scambi” nucleari”. In ogni caso le culture indigene e matriarcali, che si basano di più sul dono, hanno avuto e hanno una visione del mondo molto diversa che onora e sostiene la vita, fa nascere comunità più durature e promuove l’abbondanza per tutti.

 

Introduzione all’economia del dono 

 

Gli americani, prima della colonizzazione, erano 300 milioni, molte più persone di quante ce ne fossero nell’intera Europa a quel tempo (Mann, C, 2005)[2]. Sebbene gli europei tendessero a interpretare le economie indigene alla luce della propria mentalità basata sullo scambio, le economie del dono erano ancora diffuse quando arrivarono i colonizzatori. La leadership delle donne era importante in queste cosiddette economie “pre”mercato. Per esempio la confederazione degli Irochesi, dove donne agricoltrici controllavano la produzione e la distribuzione dei prodotti agricoli, praticava il dono nei gruppi locali e partecipava ai circuiti di doni tra i gruppi anche a grandi distanze (Mann, B, 2000.) Sebbene il wampum, fatto con le conchiglie, fosse stato visto dagli europei come una forma di valuta, i ricercatori indigeni come Barbara Mann (1995) non lo considerano affatto una moneta, bensì una forma di scrittura fatta con le perline che si basava sulla relazione metaforica tra la Terra e il Cielo. Le economie del dono sono tipiche dei matriarcati. In Africa e in Asia, così come nelle Americhe, esistevano vari tipi di società pacifiche basate sulle donne che continuano a esistere anche oggi (Goettner-Abendroth 1980, 1991, 2000; Sanday 1981, 1998, 2002).

 

La mia ipotesi è che non solo c’erano e ci sono società che funzionano in base alla distribuzione diretta dei beni per soddisfare i bisogni, economie del dono non mercantili, ma che la logica che sottende questo tipo di economia è la logica umana fondamentale, che è stata surclassata e resa invisibile dalla logica dell’economia di mercato. Nonostante questa cancellazione, il dono continua a permeare la vita umana in molti modi, anche se non visto e nonostante sia stato degradato, ingiuriato, frainteso e nascosto. La visione del mondo delle popolazioni delle Americhe era davvero radicalmente diversa da quella degli europei, così tanto che i due gruppi facevano fatica a capirsi. Gli europei, per lo più, male interpretavano ciò che i nativi dicevano e facevano, la loro spiritualità, i loro usi, le loro intenzioni.[3] La colonizzazione europea distrusse le civiltà delle Americhe perché i meccanismi del capitalismo patriarcale, che si erano sviluppati in Europa nel corso dei secoli precedenti, avevano bisogno di doni gratuiti che potessero essere trasformati in capitale. Noi stiamo vivendo le conseguenze di questa invasione basata sul genocidio, ma ciò non deve renderci ciechi di fronte al fatto che prima della colonizzazione esistevano modi pacifici e alternativi di organizzare l’economia e la vita sociale. Non sto suggerendo di imitare, adesso e tout-court, queste società. Però credo che se riuscissimo a identificare la logica del donare e del ricevere e vederla lì dove continua a esistere all’interno delle nostre stesse società, potremmo riapplicarla nel presente per liberare una visione del mondo che le corrisponda, e creare anche nuove/vecchie modalità di interazione pacifica.

 

Nello stesso momento in cui si inizia a vedere la luce di un’alternativa, la si deve usare per illuminare il problema. Vale a dire che dobbiamo vedere come il patriarcato e il capitalismo operino uniti per dominare e snaturare la distribuzione diretta dei beni verso i bisogni e come i doni si muovano verso un sistema di scambio artificiale, che non dona, e verso il possesso di pochi. Il punto di vista radicalmente diverso di cui abbiamo bisogno adesso non è quello dell’economia del dono così come è praticata solo dalle popolazioni indigene, ma un punto di vista sul mondo che deriva dall’economia del dono e la riconosce sia nelle società indigene che all’interno del capitalismo patriarcale, sebbene nascosta e fraintesa; si potrebbe perfino sostenere che si trova dentro ogni essere umano.

 

Nel 1484, fu pubblicata la Bolla Papale di Innocenzo VIII, che segnava l’inizio dell’Inquisizione, durante la quale per un periodo di 250 anni, furono uccise, secondo alcune stime, 9.000.000 di streghe, in maggior parte donne. Forse non è casuale che questi due genocidi, quello dei nativi americani e quello delle donne europee, si siano verificati simultaneamente (vedi Mies 1998 [1986]). Trovando la connessione tra la misoginia europea e l’oppressione americana ed europea delle popolazioni indigene, forse possiamo identificare il legame che può permetterci di creare una piattaforma comune cruciale per il cambiamento sociale.

 

Una delle ragioni per cui attualmente non esiste una piattaforma comune e collettiva è che gli approcci che sono alternativi allo status quo sembrano avere a che fare unicamente con l’interesse, le propensioni e la moralità individuali. Per le femministe, la critica all’essenzialismo impedisce la costruzione di una simile piattaforma sulla base di un’identità comune; tuttavia è curioso come, se l’identità non è la stessa, i problemi però lo siano e i legami tra individui e gruppi nascano sulla base di risposte e resistenze all’oppressione condivise.

 

Infatti, se osserviamo come l’identità si forma attraverso categorie in opposizione e come l’identità collettiva funziona nella “democrazia” in quanto competizione di gruppi tenuti insieme dall’interesse personale, possiamo vedere la formazione dei gruppi identitari come un ulteriore modo di dividere e conquistare il potere su una collettività più allargata. Però, forse, non è partendo dall’identità che possiamo provare a tirar fuori una prospettiva comune, ma dovremmo piuttosto disegnare una simile prospettiva su una pratica economica, il dono, che ovunque le donne (e gli uomini e le culture non patriarcali) mettono in campo, spesso senza rendersene conto. Questa pratica è positiva, ma all’apparenza rende coloro che la mettono in atto vulnerabili all’oppressione delle economie di mercato. Sarebbe importante non solo unirsi sporadicamente su certi temi per opporsi all’oppressione nelle sue varie manifestazioni, ma anche unirsi positivamente e a lungo termine sulla base dell’economia alternativa nascosta e della sua prospettiva. Nel capitalismo patriarcale la pratica dell’economia del dono è stata assegnata principalmente alle donne, sebbene sia stata specificatamente screditata sotto il nome di “funzione materna”, “nutrimento” e “lavoro di cura”. Questa assegnazione dovrebbe come minimo qualificare le donne come leader (non patriarcali) del movimento per l’economia del dono.

 

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Postfazione a “La Dea nell’Antica Britannia” di Kathy Jones http://www.associazionelaima.it/blog/postfazione-a-la-dea-nellantica-britannia-di-kathy-jones/ http://www.associazionelaima.it/blog/postfazione-a-la-dea-nellantica-britannia-di-kathy-jones/#comments Thu, 18 Apr 2013 20:55:07 +0000 http://www.associazionelaima.it/?p=1405 A CURA DI SARAH PERINI

Kathy Jones con Sarah Perini

Kathy Jones con Sarah Perini

“Il nostro viaggio ci conduce dal mondo naturale dei nostri antenati paleolitici attraverso i paesaggi sacri dell’età neolitica, quando cumuli, lunghi tumuli, megaliti e cerchi di pietre furono edificati tra il VI e il III millennio P.E.C. Tesseremo le fila che collegano le nostre antenate e antenati neolitici devoti alla Dea e le leggende dei guerrieri celti. Porteremo queste storie nel presente, raccogliendo ispirazione e conoscenza mentre esploriamo il lavoro delle donne creative di oggi che adorano la Dea”.

Kathy Jones

 

La Dea in tutte le sue forme ed espressioni non avrebbe potuto essere richiamata nelle coscienze occidentali senza l’amore e la creatività delle donne che hanno ascoltato la sua voce e risposto alla sua chiamata. Molte donne coraggiose e consapevoli hanno aperto mente e anima, affrancandosi dai valori della società patriarcale e iniziando un viaggio di esplorazione nella natura del Divino Femminile che ha cambiato le loro vite.

Ciò è stato possibile anche grazie a coloro che si sono precedentemente impegnate nella rivoluzione dei valori politici e sociali e hanno favorito alle loro sorelle l’accesso ai luoghi della cultura e dello spirito, laddove oggi esse stanno riscrivendo modelli di sentieri sacri vivibili. Senza l’opera delle femministe storiche non avremmo oggi la possibilità di ri-pensarci con la stessa libertà e di agire all’interno di spazi sociali che contribuiamo a significare. Le nostre sorelle ci hanno aperto la strada consapevolmente ed inconsapevolmente, poiché la loro azione era incentrata principalmente all’attuazione di una rivoluzione sociale e politica e non implicava necessariamente una riappropriazione del sacro. Tale sfida è ora nelle nostre mani, nelle mani delle giovani donne che la vogliono cogliere, delle madri e delle crone che hanno compreso l’impossibilità di esistere pienamente, prive di una dimensione sacra.

Negli ultimi quarant’anni si è assistito a un incremento dell’interesse verso le antiche culture orientate alla partnership e al culto della Grande Dea; ciò si riflette a livello sociale con una richiesta sempre maggiore di equilibrio tra i generi e della creazione di una spiritualità olistica, la quale includa la sacralizzazione del corpo e la presa di coscienza che la specificità dei generi non implica il dominio di una metà sull’altra, ma invita ad una co-creazione armoniosa nel rispetto e nella valorizzazione delle differenze.

Ciò è stato reso possibile anche grazie all’opera di riscoperta e rieducazione di pioniere della ricerca, quali Marija Gimbutas e Riane Eisler, che hanno favorito un’opera di riscrittura della storia e della società, che passa attraverso una re-visione dell’esperienza umana e la decostruzione dei modelli di pensiero di matrice patriarcale, aprendo la strada all’elaborazione di nuovi modelli sociali, culturali, politici e spirituali.

Il ritorno ai valori di una società gilanica implica onorare il femminile e i relativi punti di riferimento nel sacro e nella vita quotidiana. Tutto ciò si manifesta particolarmente in Europa e in America, proprio laddove le donne sono state maggiormente deprivate del loro potere e i loro valori usurpati e snaturati.

I tentativi di riconnettersi al sentiero spirituale della Dea hanno oggi numerosi e importanti supporti, grazie anche all’opera di sperimentatrici come Kathy Jones e altre donne che hanno avuto il coraggio di strutturare percorsi possibili e percorribili da coloro che desiderano riconnettersi alla spiritualità e alla pratica quotidiana di valori matristici.

Le religioni patriarcali hanno fornito gli unici metodi ufficialmente riconosciuti per lo sviluppo spirituale; molte donne hanno tentato di adottare modelli maschili, snaturandosi, oppure hanno cercato di proporre sistemi alternativi senza essere comprese e finendo per essere considerate semplicemente delle voci scomode o fuori dagli schemi.

Molte pratiche patriarcali sono basate sulla negazione della realtà corporea e dell’essere umano, attraverso il celibato, l’ascetismo, la separazione forzata dall’esterno, la soppressione delle emozioni, l’inibizione e la punizione di una supposta “natura inferiore” a favore di un cosiddetto “più alto potere della mente e dello spirito”. Questi modelli separatisti innestano da secoli diffidenza e controllo nei rapporti tra donne e uomini, tra donne e donne, tra uomini e uomini, criteri utilizzati per condizionare sia le donne sia gli uomini, affinché si adattino a un sistema sociale basato su gerarchie sostenute dalla forza e dalla paura e le perpetuino sia in un microcosmo personale che in un macrocosmo sociale e spirituale.

La società incentrata sul dominio ha condizionato gli uomini a pensare in termini di predominio e controllo piuttosto che di affiliazione e di cura, valori conservati maggiormente dalle donne, e a considerare la supremazia parte integrante della mascolinità, o senso di sé; e ha condizionato le donne ad accettare remissività e sopraffazione, alimentando la diffidenza e l’inimicizia fra donne. Tali sistemi disumanizzano sia le donne sia gli uomini.

La ricerca di una sacralità perduta attraverso i secoli corrisponde alla riconnessione con le radici della partnership che ci appartengono, per risanare quanto fu brutalmente smembrato dalla dominanza: la fondamentale connessione fisica e insieme spirituale tra donne e uomini.

Non si tratta di un problema soltanto spirituale o sessuale, con il passaggio al modello della dominanza dell’organizzazione sociale e ideologica, la donna e l’uomo sono nettamente separati dall’energia creativa.

Pertanto, solo orientandoci verso un modo di vivere, pensare, amare, ritualizzare più femminile, gilanico, o sul modello della partnership, riusciremo a risanare la frattura. Una risacralizzazione dei nostri corpi e dei nostri rapporti intimi è uno dei mattoni più importanti per la costruzione di una nuova spiritualità, al contempo immanente e trascendente.

La riscoperta e la creazione di una mitologia, che sacralizza i valori femminili e ci infonde il desiderio di trasformare noi stessi e le nostre società, porterà con sé nuovi criteri di azione. Un aspetto importante di questa trasformazione è quello di reinventare o rielaborare rituali per celebrare i riti di passaggio (i momenti cruciali dell’esistenza: nascita, morte, unioni, separazioni, ingresso nell’adolescenza, nell’età adulta, e così via) e valorizzare le azioni quotidiane di cura di sé e degli altri.

Grazie alla crescente riappropriazione della conoscenza delle antiche radici spirituali femminili da parte di Donne di Saggezza, grazie alla possibilità di studio, di espressione e approfondimento da parte di quelle donne che si sono riprese l’accesso alla parola detta, scritta e performata in rituali; con la formazione di numerose vie esperienziali, di pratica e di studio, che attualizzano pratiche sciamaniche e modelli sacerdotali, rielaborati sulla base della riscoperta degli antichi ordini sacerdotali femminili dediti al culto della Dea in tutte le sue espressioni.

Le nostre radici spirituali affondano nel sacro femminile, nell’onorare il potere di creazione e trasformazione delle forze naturali, della madre terra riconosciuta dalle nostre antenate, secondo tradizioni unitarie nel riferimento al potere creativo femminile e che ci vede tutte creatrici, madri, figlie, sorelle, capaci di esprimere amore in molte forme, e ci consente un‘identificazione e un riconoscimento con la nostra amata e potente Grande Dea.

Insieme alla ricostruzione della nostra identità, anche spirituale, ci riappropriamo inoltre degli strumenti, delle pratiche, dei rituali, dei modi di comunicare le nostre esperienze spirituali e materiali nel contesto sacro.

Queste vie, anche se sono fortemente caratterizzate al femminile, donano la possibilità anche agli uomini che desiderano ri-ascoltare la voce della Dea di accedere nuovamente al sacro femminile contenuto in loro stessi, fornendo la possibilità di riscrivere in prima persona nuovi modelli di vita e di spiritualità, anche specificatamente maschili, ma sostenibili da tutti gli esseri umani, e riconoscendo che cosa nei modelli della società patriarcale abbia castrato e snaturato, anche il maschile.

L’ispirazione portata dall’incontro con la Dea è continua, è un viaggio di scoperta in ognuna e ognuno di noi.

Un brillante esempio di percorso esperienziale e spirituale pienamente realizzato e ripetibile è proprio quello riscoperto e ricreato da Kathy Jones.

Nel 1992, con il suo primo libro Spinning the Wheel of Ana, a spiritual quest to find the British Primal Ancestors (Girando la Ruota di Britannia, una ricerca spirituale per ritrovare gli Antenati primordiali dell’Antica Britannia) Kathy Jones contribuisce alla riscoperta delle antiche radici protoeuropee delle popolazioni britanniche e dei loro rituali, ricostruisce la Ruota di Britannia, con la quale riconnette le manifestazioni del divino femminile alle stagioni, ai rispettivi rituali, celebrazioni, come anche al ciclo degli elementi naturali e agli animali totemici. La caratteristica della Ruota di Britannia, o Ruota di Ana, basata sulle tradizioni delle popolazioni Túatha Dé Danann, antenate protobritanniche, è la connessione non solo con i quattro elementi e le quattro direzioni ma bensì con otto direzioni connesse alle otto feste solari dell’anno ed alle rispettive manifestazioni divine, naturali, animali ed alla relativa ritualistica stagionale.

Il secondo passaggio nella diffusione della cultura matricentrica attuato da Kathy Jones, insieme alle donne e agli uomini che hanno contribuito a configurare questa realtà nel corso degli anni, è stata la realizzazione dell’annuale convegno e festival conosciuto come Goddess Conference (Festival della Dea), oggi giunto alla sua diciassettesima edizione. La Goddess Conference è un grande evento culturale e spirituale che permette di fruire di una profonda esperienza trasformativa e si svolge durante cinque giorni, solitamente la prima settimana di agosto, durante i quali gli ospiti possono partecipare a conferenze, seminari, workshop, mostre d’arte, spettacoli, concerti, ed anche partecipare a celebrazioni e rituali per sviluppare la conoscenza del sacro femminile e onorare le diverse manifestazioni della Dea.

Dal 1998 sono iniziati i seminari triennali di approfondimento della cultura e della spiritualità femminile dell’antica Britannia attualizzata da Kathy Jones e dal gruppo di ricercatrici che hanno dedicato la loro vita all’eleborazione ed alla diffusione della spiritualità avaloniana. Attraverso questo percorso le donne e gli uomini che rispondono alla chiamata interiore ed esteriore della Dea, e provengono da tutte le parti del mondo, possono dedicare la loro vita al servizio, applicando gli insegnamenti ricevuti nella loro vita quotidiana, ed essere riconosciute come sacerdotesse e sacerdoti, operanti nella comunità come mediatrici spirituali, guaritrici, insegnanti, educatrici e così via.

Questo libro è stato pubblicato per la prima volta in Inghilterra nel 2001, seguito cinque anni più tardi dal fondamentale testo Priestess of Avalon, Priestess of the Goddess, a renewed spiritual path for the 21th century, (Sacerdotesse di Avalon, Sacerdotesse della Dea, un rinnovato sentiero spirituale per il ventunesimo secolo), che disegna il percorso di riconoscimento e riconnessione con la Dea, nello specifico con la Dea che appare all’interno della cultura dell’Antica Britannia, oggi riscoperta per essere attualizzata e fruita dagli esseri umani viventi nel nostro presente.

Nel 2001 viene coronato anche il progetto di fondazione, e il riconoscimento ufficiale come luogo di culto, del Tempio della Dea a Glastonbury, dove è possibile onorare quotidianamente con preghiere e meditazioni la Dea, partecipare a celebrazioni guidate dalle sacerdotesse e dai sacerdoti formati alla scuola avaloniana, e condividere attivamente il modus vivendi di un’intera e viva comunità che si organizza secondo i principi della partnership.

Da questi nuovi modelli reali possiamo partire per realizzare una società rinnovata e un modo di vivere la spiritualità e la ricerca più consapevole; particolarmente, fare esperienza diretta del rituale ci permette di strutturare modelli culturalmente attendibili e riconnessi ad antiche e nuove realtà. Non dobbiamo dimenticare che non è solamente una corretta ricerca accademica a donarci la garanzia di ripristinare modelli antichi funzionali, abbiamo anche l’esigenza di crearne altri nuovi e maggiormente fruibili nella realtà odierna.

È attraverso la creazione e il vissuto di queste esperienze che le donne e gli uomini possono trasformarsi.

Oggi, sul modello del Tempio della Dea di Glastonbury, sono sorti Templi della Dea in tutto il mondo, ad esempio in Inghilterra, America, Australia, Olanda, Ungheria, Svezia, Germania e Spagna, e mentre scriviamo sono in atto progetti di formazione e riconnessione con le proprie radici nel sacro femminile in altri paesi del mondo, anche in Italia, dove molte sacerdotesse si stanno risvegliando.

Un Grazie a tutti/e coloro che contribuiscono alla formazione di un nuovo mondo.

 

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Sognando nel buio: magia, sessualità e politica di Starhawk http://www.associazionelaima.it/blog/sognando-nel-buio-magia-sessualita-e-politica-di-starhawk/ http://www.associazionelaima.it/blog/sognando-nel-buio-magia-sessualita-e-politica-di-starhawk/#comments Mon, 08 Apr 2013 10:55:03 +0000 http://www.associazionelaima.it/?p=1393 Estratto dall’Introduzione a Dreaming the Dark: Magic, Sex and Politics

Per gentile concessione dell’associazione Armonie di Bologna

Tradotto da Anonima Network Bologna

 

Starhawk

Mentre scrivo i gatti giocano sulla mia scrivania, si puliscono, spostano le mie carte sul pavimento e poi si addormentano arrotolati, sicuri nell’ambiente a loro familiare.

Le loro menti non contemplano la velocità del vento a 500 miglia all’ora o la possibilità che ciò che è loro familiare possa trasformarsi in un attimo in ossa e carni carbonizzate.

Noi non possiamo sentirci sicure come loro.

Sui giornali leggiamo cosa succederebbe a una città colpita da una bomba nucleare; dei pesticidi nelle acque dei pozzi; di allerta nucleari causati da errori di computer e di bambini con la salute già danneggiata dagli additivi chimici.

Sembra che il sole stia per scomparire dal mondo di ciascuna di noi e che siamo prossime a perdere ciò che non riusciamo a rivendicare. I nostri atti di potere sembrano fragili comparati ai poteri della distruzione. Ci sono troppi nemici, troppi luoghi dove vengono sotterrati scarti chimici, troppe armi stoccate, troppe persone senza lavoro e senza speranza, troppi stupratori liberi. Troppi di coloro che detengono i grandi poteri non se ne curano. Non si sentono parte di questo mondo.

…in una zona dal perimetro di 8 miglia,sono state distrutte di case in mattoni e legno da venti a 160 miglia all’ora, molte le persone rimaste bruciate…

Anche i piccoli gesti di ogni giorno che normalmente ci danno piacere o sollievo in alcuni istanti possono sfumare nell’orrore. Ci sono delle volte che cammino per la strada, sorrido all’uomo seduto sulla sua veranda che ascolta la radio, ai bambini che mettono degli spiccioli sui binari del tram e alla donna i cui cani giocano coi miei cani .. ma in un attimo .. in un battito di ciglia .. sono spariti. Vedo un flash e poi più nulla – nulla di quelle belle case vittoriane tutte colorate, nulla più di quella gente o della terra sotto le strade. Nulla: solo ceneri e terra bruciata, un vuoto nero.

So che non sono sola nel sentirmi a volte sopraffatta dalla mancanza di speranza e dalla disperazione. Sento le stesse paure negli amici, nella mia famiglia, da clienti per vengono per un incontro di counseling.

La sofferenza personale di ognuno è mossa da questa grande incertezza: e non abbiamo più la fiducia di lasciare un mondo migliore – di lasciare un mondo vivo ai nostri figli.

E comunque bisogna dar da mangiare ai bambini, portare in giro i cani, continuare a lavorare, e allora alziamo le barriere che ci permettono di difenderci da un pensiero insopportabile e andiamo avanti in uno stato di negazione e di intorpidimento.

Il lavoro è piatto e noi attentamente evitiamo di interrogarci sui suoi significati e sulla sua utilità, anche se sentiamo che qualcosa di profondo e dolce manca nelle nostre vite, nelle nostre famiglie, nelle nostre amicizie; il senso dello scopo, del potere .. se n’è andato. E comunque i bambini crescono, non meno belli

di quelli di altre generazioni, e ancora quando mettiamo un seme nella terra, questo mette radici e stelo, foglie, fiori e frutti. Ci sono ancora momenti in cui vediamo che i processi della vita continuano, in cui non possiamo non credere che la vita sia mossa da un potere più forte che il potere dei fucili e delle bombe: un potere che potrebbe ancora prevalere se solo sapessimo richiamarlo.

Questo libro parla di come possiamo richiamare in vita questo potere, un potere basato su un principio molto diverso dal “potere su” e dalla dominazione. Il “potere su” è il potere dei fucili e delle bombe, il potere dell’annientamento che sostiene le istituzioni della dominazione.

Il potere che percepiamo in un seme, nella crescita di un bambino, il potere che sentiamo nello scrivere, tessere, lavorare, creare, fare delle scelte, non ha nulla a che fare con le minacce dell’annientamento, ma molto con il significato originario della parola “potere”, che deriva dal latino popolare podere (essere in grado di) . E’ il potere-che–viene-da-dentro.

Ci sono molti nomi per il potere-che-viene-da-dentro, nessuno soddisfacente. Può essere chiamato spirito – ma tale nome implica che sia separato dalla materia, e questa falsa divisione come vedremo è il fondamento delle istituzioni del dominio. Potrebbe essere chiamato Dio – ma il Dio della religione patriarcale è la fonte ultima e il depositario del “potere su”. Io l’ho chiamato immanenza, un termine che è vero ma anche troppo freddo e intellettuale. E l’ho chiamato Dea, perché le antiche immagini, simboli e miti della Dea come donatrice di vita, tessitrice, signora della terra e delle piante, dei venti e degli oceani, fuoco, rete, luna e latte… tutto mi parla del suo potere di connessione, sostentamento, guarigione, creazione.

La parole Dea rende inquiete molte persone che si definiscono “politiche”, perché mplica religione e laicità e può erroneamente evocare il culto di un essere esterno. “Dea” rende inquiete anche persone che si definiscono “religiose” o “spirituali”, perché sa di paganesimo, di sangue, di oscurità, di sessualità e poteri bassi.

E comunque il potere-che-viene-da-dentro è il potere del basso, dell’oscuro, della terra; il potere che nasce dal nostro sangue, dalle nostre vite e nel nostro desiderio appassionato per la carne viva dell’altro. E i temi politici del nostro tempo sono anche i temi dello spirito, dei conflitti tra paradigmi o tra i principi ad essi sottesi..

Se la posta in gioco è sopravvivere, la questione cruciale diventa: come rovesciamo non tanto quelli che sono adesso al potere, ma il principio del “potere su”? Come diamo forma a una società basata sul potere-da-dentro?

Un cambio di paradigma, di consapevolezza, rende sempre inquiete. E’ quando ci sentiamo leggermente timorose o imbarazzate da parole come Dea che siamo sicure di essere sulla traccia di un cambiamento profondo, nella struttura e nel contenuto del nostro pensiero.

Per dare nuova forma al principio di potere su cui la nostra cultura è basata, dobbiamo mettere sottosopra tutte le vecchie divisioni. Le separazioni confortevoli non funzionano più. Le questioni sono più ampie di ciò che i termini religioso o politico implicano; si tratta di vedere le connessioni complesse. Sebbene ci venga detto che questi temi sono separati, che lo stupro è separato dalla guerra nucleare, che la lotta delle donne per una paga adeguata non va insieme alla lotta di un giovane nero per trovare un lavoro o alla lotta per evitare che venga installato un reattore nucleare in un sito soggetto a terremoti in una zona vulcanica delle Filippine, in realtà tutte questi aspetti diversi sono tenuti insieme dalla consapevolezza che dà forma alle nostre relazioni di potere.

Queste relazioni a loro volta danno forma ai nostri sistemi economici e sociali; alla nostra tecnologia; alla nostra scienza, alla nostra religione, alle nostre visioni di uomini e donne; alle nostre visioni di razze e culture diverse dalle nostre; alla nostra sessualità; ai nostri dèi e alle nostre guerre, che attualmente stanno dando forma alla distruzione del mondo.

Io chiamo questo tipo di consapevolezza alienazione (estrangement), perché la sua essenza è quella di non farci vedere/sentire parte del mondo. Siamo stranieri alla natura, agli altri esseri umani, a parti di noi stesse. Vediamo il mondo come formato da parti non viventi, separate, isolate, che non hanno valore in sé (non sono neppure morte – perché la morte implica la vita). Tra queste cose di per sé separate e senza vita, le uniche relazioni di potere possibili sono quelle della manipolazione e della dominazione.

L’alienazione è il culmine di un lungo processo storico. Ha le sue radici nel passaggio nell’Età del Bronzo dalle società matrifocali, culture centrate sulla terra le cui religioni erano centrate sulle Dee e gli Dèi incarnati nella natura, alle culture urbane patriarcali di conquista, i cui Dèi ispiravano e sostenevano la guerra. Yahveh del Vecchio Testamento è un primo esempio: prometteva al suo Popolo Eletto il dominio sulle piante, sulla vita animale e sulle altre genti che Lui stesso incoraggiava a invadere e conquistare. La Cristianità ha approfondito questa divisione, stabilendo la dualità tra spirito e materia, quest’ultima identificata nella carne, nella natura, nella donna, e nei commerci sessuali con il diavolo e le forze diaboliche.

Dio era maschio – incontaminato dal processo della nascita, dal nutrire, dalla crescita, dalle mestruazioni e dal decadimento della carne. Era rimosso da questo mondo nel regno trascendente dello spirito .. da qualche altra parte. In tal modo la bontà e i veri valori sono stati distolti dalla natura e dal mondo.

Così scriveva Engels: “La Religione è essenzialmente lo svuotamento dell’uomo e della natura di tutti i contenuti e il trasferimento di questi contenuti al fantasma di un Dio distante, che talvolta concede la grazia e acconsente che qualcosa della sua abbondanza arrivi al genere umano e alla natura.”

La rimozione del contenuto e del valore è servita come base per lo sfruttamento della natura. La storica Lynn White afferma che “gli spiriti negli oggetti della natura, che prima avevano protetto la natura dall’uomo, evaporarono” sotto l’influenza della Cristianità, “e il monopolio dell’uomo sullo spirito in questo mondo fu confermato e le vecchie limitazioni allo sfruttamento della natura si sgretolarono.” I boschi e le foreste non furono più sacri. Il concetto di bosco sacro, dello spirito incarnato nella natura cominciò a essere considerato idolatria. Ma quando la natura è svuotata di spirito, le foreste e gli alberi diventano semplicemente legno, qualcosa da misurare in centimetri cubi, valutato sulla base della redditività e non per il suo esserci, la sua bellezza o anche per la sua parte in un ecosistema più ampio.

La rimozione del contenuto dagli essere umani ha consentito la formazione di relazioni di potere in cui gli esseri umani possono essere sfruttati. Il valore inerente, l’umano, è riservato a certe classi, razze, al sesso maschile; quindi il loro “potere su” gli altri è legittimato. L’immaginario maschile di Dio autentica gli uomini come portatori dell’umano e legittima l’uomo a dominare. Il Dio bianco, l’identificazione del buono con la luce e del demonio con l’oscurità, identifica il bianco come il portatore di umanità e legittima la supremazia dei bianchi su quelli di colore. Anche se non crediamo più letteralmente in un Dio bianco e maschio, le istituzioni della società incarnano ancora la sua immagine nelle loro stesse strutture.

Le donne e la gente di colore non sono presenti agli alti livelli delle gerarchie che gestiscono il “potere su”.

La nostra storia, la nostra presenza può essere cancella, ignorata, considerata insignificante. Il contenuto della cultura è la storia e l’esperienza degli uomini bianchi di classe elevata.

La sofferenza di tutti coloro che sono visti come altri – i poveri, le classi operaie, le lesbiche e i gay, i disabili, quelli etichettati come malati mentali, l’arcobaleno delle razze, delle religioni e dei diversi patrimoni etnici, tutte le donne, ma specialmente quelle che non rientrano nei ruoli culturali definiti – non è solo quella della discriminazione diretta, è la pena di essere negati ancora e ancora. E’ la pena di sapere che le nostre preoccupazioni non saranno considerate fino a quando noi stessi non le solleveremo e anche allora saranno viste come periferiche e non centrali, alla cultura, all’arte, alla politica.

* * *

Noi stesse dubitiamo del nostro contenuto, dubitiamo delle prove dei nostri sensi e delle lezioni della nostra esperienza. Vediamo le nostre motivazioni e i nostri desideri come inerentemente caotici e distruttivi, bisognosi di repressione e controllo, proprio come vediamo la natura come una forza selvaggia e caotica, che necessita di un ordine imposto dagli esseri umani.

Nel libro La Morte della Natura, Carolyn Merchant ricostruisce passo dopo passo il modo in cui la scienza moderna e i bisogni economici del capitalismo nei secoli XVI e XVII spostarono la “metafora normativa” del mondo da quella di “organismo vivente” a quella di “macchina senza vita”. Tale spostamento di prospettiva, accompagnato e aiutato dalla persecuzione delle streghe, permise uno sfruttamento della natura su una scala mai vista prima…La metafora della “macchina”, del mondo visto come di un agglomerato di parti isolate non viventi e che si muovono ciascuna per sé è cresciuta in un contesto cristiano in cui divinità e spirito erano stati già rimossi dalla materia. E la scienza moderna ha dato il colpo finale allo spirito quando ha proclamato la morte di Dio dopo che aveva risucchiato tutta la vita dal mondo. Non è rimasto più nulla, se non cadaveri da discarica e le strutture gerarchiche delle nostre istituzioni – Chiesa, esercito, governo, corporations – tutte incarnazioni del potete autoritario, tutte conformate all’immagine del Dio Patriarcale con le sue truppe subordinate di angeli, impegnati in una guerra perpetua contro il Demonio Patriarcale.

Non ci vediamo più come esseri di seppur dubbia dignità, come difettose immagini di Dio, ci immaginiamo secondo la metafora della macchina come computer difettosi con programmi imperfetti nell’infanzia. Siamo nel mondo vuoto descritto fino alla nausea dall’arte, letteratura e musica del ventesimo secolo, da Sartre ai Sex Pistols.

In un mondo vuoto, ci fidiamo solo di quello che può essere misurato, contato, acquisito. Il principio organizzatore della società diventa ciò che Marcuse ha definito il principio di prestazione, la società è stratificata secondo le prestazioni economiche dei suoi membri. Il contenuto è rimosso dal lavoro, che non è organizzato secondo la sua utilità o il suo vero valore, ma secondo l’abilità di creare profitti. Coloro che effettivamente producono prodotti o offrono servizi sono meno remunerati di coloro che sono impegnati nel gestire o contare questa produzione o stimolare falsi bisogni. Ci viene detto ad esempio nelle pagine dei giornali economici che il Vice Presidente di una azienda petrolifera nega di far parte del business che fornisce combustibile ed energia agli Americani e si vanta di essere nel business del profitto per i propri investitori.

La scienza e la tecnologia, basate su principi di isolamento e dominazione della natura, producono raccolti e legna usando pesticidi e erbicidi che causano difetti alla nascita, danni ai nervi e cancro quando si infiltrano nei nostri cibi e nelle forniture d’acqua. Reclamando un ordine superiore di razionalità, i tecnologi costruiscono reattori nucleari che producono scorie che rimangono dannose per un quarto di milione di anni e mettono queste scorie in contenitori che durano dai trenta ai cinquanta anni.

L’alienazione permea il nostro sistema educativo, con le sue discipline separate e isolate. L’alienazione determina la nostra comprensione della mente umana e le capacità della coscienza, la nostra psicologia. Freud vedeva gli istinti umani e la libido come forze essenzialmente pericolose, caotiche e in conflitto con il “principio di realtà” dell’ego. I comportamentalisti ci assicurano che siamo solo ciò che può essere misurato – solo comportamenti e schemi di stimolo e risposta. Jung ha sostituito un Dio trascendente con un set di archetipi trascendenti, un piccolo miglioramento, ma che ancora ci lascia intrappolate in stereotipi e rigidi ruoli sessuali.

La sessualità, sotto il dominio di Dio Padre è identificata con il suo Opposto – con la natura, la donna, la vita, la morte, la decadenza – tutte quelle forze che minacciano l’astrazione incontaminata di Dio e sono quindi considerate peccato. Nel mondo vuoto della macchina, quando anche le strutture delle religioni decadono, il sesso diventa un’altra arena della prestazione, un’altra merce da acquistare e vendere. L’erotico diventa pornografico; le donne sono viste come oggetti vuoti di valore ad eccezione di quello per cui possono essere usate. L’arena sessuale diventa luogo di dominio, carico di rabbia, paura e violenza.

E così noi viviamo le nostre vite sentendoci senza potere e inautentiche, sentendo che le persone reali sono da qualche altra parte, che i personaggi delle telenovelas o le conversazioni nei programmi televisivi serali sono più reali che la gente e le conversazioni delle nostre vite. Crediamo che le star del cinema, le rock star, la gente sui giornali vivano la verità e il dramma del nostro tempo, mentre noi esistiamo come ombre e le nostre uniche vite, le nostre perdite, le nostre passioni che non possono venir contate o misurate, non sono approvate o classificate o vendute con uno sconto, non crediamo che siano i veri valori del mondo.

L’alienazione permea la nostra società così fortemente che sembra essa stessa essersi fatta coscienza. Anche il linguaggio di altre possibilità scompare o viene deliberatamente distorto. Eppure un’altra forma di coscienza è ancora possibile. In effetti esiste, anche nell’occidente, da tempi antichi, sepolta sotto ai diversi strati di diverse culture ed è sopravvissuta fino a qui. Questa è la coscienza che io chiamo immanenza – la consapevolezza del mondo e che tutto in esso è vivo, dinamico, interdipendente e infuso di energie mobili: una creatura vivente, una danza che si intreccia.

La Dea può essere vista come un simbolo, la metafora normativa dell’immanenza. Rappresenta il divino incarnato nella natura, negli esseri umani, nella carne.

La Dea non è in una immagine, ma in diverse – una costellazione di forme e associazioni – terra, aria, fuoco, acqua, luna e stelle, sole fiore e seme, salice e melo, nero, rosso, bianco, Giovane Madre e Vecchia Saggia. Tra i suoi aspetti include il maschile: egli è figlio e consorte, cervo e toro, grano e mietitore, luce e oscurità. E comunque la femminilità della Dea è primariamente non denigrativa del maschio, perché rappresenta la possibilità di portare la vita nel mondo, di dare valore al mondo.

La Dea, la Madre come simbolo di quel valore, ci dice che il monto stesso è il contenuto del mondo, il suo vero valore, il suo cuore, la sua anima.

Storicamente, le culture centrate su Dee e Dèi incarnati nella natura, stanno alla radice di tutte le successive culture patriarcali. Le immagini della Dea sono le prime immagini di culto conosciute, a partire dai siti paleolitici.

Gli inizi dell’agricoltura, della tessitura, della ceramica, della scrittura, delle costruzioni, delle fondazioni delle città – tutte le arti e le scienze sulle quali si sono poi sviluppate le ‘civiltà’ – ebbero inizio nelle culture della Dea.

Quando il patriarcato divenne la forza di dominio nella cultura occidentale, permanenze della religione e delle culture basate sull’immanenza furono preservate dai pagani (dal latino paganus, rustico o abitante delle campagne), negli usi e costumi del folclore, nelle tradizioni esoteriche e nelle congreghe delle streghe. Le culture dei Nativi Americani e delle tribù in Africa, Asia e Polinesia erano anch’esse basate su una visione del mondo immanente, che vedeva lo spirito e il potere di trasformazione personificati nel mondo naturale.

 

 

Ironicamente, con l’avanzamento della scienza e della tecnologia alienate, proprio esse hanno iniziato a riportarci una consapevolezza dell’immanenza. La fisica moderna non parla più di atomi separati, divisi, di materia morta ma di onde di energia, di probabilità, di modelli che cambiano quando sono osservati; riconosce quello che Sciamani e Streghe hanno da sempre saputo: che la materia e l’energia non sono forze separate, ma forze della stessa sostanza.

L’immagine della Dea colpisce alla radici l’alienazione. Il vero valore non può essere trovato in qualche lontano paradiso, in qualche astratto mondo ultraterreno, ma nei corpi femminili e nella loro prole, maschi o femmine, nella natura e nel mondo.

La natura ha un suo ordine, di cui gli esseri umani sono parte. La natura umana, i bisogni, le motivazioni e i desideri non sono impulsi pericolosi che hanno bisogno di repressione e controllo, ma sono l’espressione di un ordine inerente all’essere. L’evidenza dei nostri sensi e la nostra esperienza sono l’evidenza del divino – l’energia in movimento che unisce tutti gli esseri.

Per le donne, il simbolo della Dea è profondamente liberante, restaura un senso di autorità e di potere nel corpo femminile e nei processi della vita: nascita, crescita, il far l’amore, l’invecchiamento e la morte. Nelle culture occidentali l’associazione di donne e natura è stato usata per svalutare entrambe. L’immagine della Dea immanente conferisce sia alle donne che alla natura un valore più alto. Allo stesso modo, la cultura non può più essere vista come qualcosa di lontano o opposto alla natura. La cultura è un risultato della natura – un prodotto dell’essere umano che è parte del mondo naturale. La Dea della natura è anche la musa, l’ispirazione della cultura e le donne sono a pieno titolo partecipi alla creazione e alla promozione di cultura, arte, letteratura e scienza. La Dea come madre personifica la creatività e tutti i processi della nostra vita, il nostro diritto di scegliere coscientemente come, dove e cosa vogliamo creare.

L’immagine femminile della divinità in nessun modo fornisce una giustificazione dell’oppressione degli uomini. La femmina che dà la vita al maschio include il maschio in un modo in cui le divinità maschili non possono includere il femminile. La dea dà la nascita a un panteon che è inclusivo, non esclusivo. Non è un Dio geloso. E’ spesso vista anche nel suo aspetto maschile – figlio o consorte. Nella stregoneria l’aspetto maschile si manifesta come il Dio con le corna, il dio della vita animale, dei sentimenti e dell’energia vitale.

Manifestandosi in esseri umani e nella natura, la Dea e il Dio restituiscono il contenuto e il valore alla natura umana, alle pulsioni, ai desideri e alle emozioni.

Dire che qualcosa è sacro è dire che noi rispettiamo, curiamo e diamo valore ad esso per il suo essere.

Quando il mondo è visto come fatto di esseri di valore, viventi, dinamici, interconnessi, il potere non puo’ essere “visto come qualcosa che la gente ha – i re, gli zar, i generali che tengono il potere come si tiene un coltello”! Il potere immanente, il potere-da-dentro, non è qualcosa che abbiamo ma qualcosa che possiamo fare.

Noi possiamo scegliere di cooperare o di ritirarci dalla cooperazione con qualsiasi sistema.

Il potere delle relazioni e delle istituzioni dell’immanenza deve sostenere e incoraggiare l’abilità degli individui di dare forma alle scelte e alle decisioni che li toccano. E quelle scelte devono riconoscere l’interconnessione degli individui in una comunità di esseri e le risorse che hanno un valore inerente.

E’ una sfida cercare di creare la visione di una società basata su questo principio.

Le implicazioni sono radicali e vanno lontano, perché tutto le istituzioni dell’attuale società, da quelle più oppressive a quelle più benevole, sono basate sull’autorità che alcuni individui detengono e che consente loro di controllare gli altri.

* * * *

Abbiamo ragione di sperare. Le forze della distruzione sembrano grandi, ma contro di queste abbiamo il nostro potere di scegliere, la nostra volontà umana e l’immaginazione, il coraggio, le nostre passioni, la nostra volontà di agire e amare. Non siamo, davvero, stranieri in questo mondo. Siamo parte del cerchio.

Quanto piantiamo, quando tessiamo, quando scriviamo, quando facciamo un figlio, quando organizziamo, quando guariamo, quando corriamo nel parco mentre le sequoie traspirano un velo di nebbia, quando facciamo quello che abbiamo paura di fare, noi non siamo separati. Noi siamo del mondo e l’uno dell’altra e il potere dentro di noi è grande, se non invincibile. Anche se siamo feriti, possiamo guarire; anche se ognuno di noi può essere distrutto, dentro tutti noi c’è il potere del rinnovamento.

E c’è ancora tempo di scegliere questo potere.

 

Starhawk

Culture Indigene di Pace. Ri-educarsi alla Partnership

 Torino, sabato 27 aprile h.21

Domenica 28 aprile h. 14.30

 

 

 

 

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Per conoscere le meravigliose e potenti donne di Juchitán http://www.associazionelaima.it/blog/per-conoscere-le-meravigliose-e-potenti-donne-di-juchitan/ http://www.associazionelaima.it/blog/per-conoscere-le-meravigliose-e-potenti-donne-di-juchitan/#comments Mon, 08 Apr 2013 10:38:46 +0000 http://www.associazionelaima.it/?p=1379

Momento di celebrazione a Juchitan, immagine tratta da travel.nationalgeographic.com

Momento di celebrazione a Juchitan, immagine tratta da travel.nationalgeographic.com

Martha Toledo Martinez portavoce della comunità di Juchìtan, in Messico testimonia di una comunità in cui le donne hanno potere nella vita pubblica e l’economia si fonda sulla condivisione dei beni.

La popolazione indigena della città messicana di Juchitán, una delle tante città indigene lungo la costa del Pacifico sul golfo di Tehuantepec, è riuscita a preservare gran parte dei suoi modelli sociali tradizionali sopravvissuti non in una lontana enclave rurale ma in un centro di transito molto frequentato, nel bel mezzo della moderna e complessa società messicana.

Un esempio straordinario di matriarcato urbano, che la prof.ssa Heide Goettner-Abendroth nel suo “Le Società matriarcali. Studi sulle culture indigene del mondo” descrive come risultato della solidarietà fra donne, del loro inflessibile indipendentismo rispetto al mondo esterno, e del loro continuo intervento nella politica degli uomini.

«Secondo l’analisi femminista – ci spiega – il fenomeno che più colpisce in questa città sono le donne e non solo per lo spettacolo di grande effetto che suscita il loro pittoresco abbigliamento, come per esempio le gonne dai vivaci disegni e le splendide bluse ricamate con enormi fiori. Quello che è più singolare, invece, è il dominio che esercitano nella vita pubblica, sia per gli ottimi affari che realizzano nella piazza del mercato, sia per la gestione dei grandi festival che organizzano nelle strade.

Il matriarcato è determinato anche da altri importanti elementi che danno forma alla loro cultura. Uno di questi è che la casa appartiene soltanto alla donna e questo perché, con il suo lavoro di artigiana e commerciante, si prende cura degli aspetti organizzativi e finanziari degli affari della famiglia: la costruzione della casa, la sua gestione economica e l’educazione dei bambini. In Juchitán il legame tra madre e figlia è la chiave di tutte le relazioni della vita; le figlie, e anche i figli, sono orgogliosi della loro madre e di discendere da lei. In questo modo non rinnegano mai la loro eredità etnica: al contrario, considerano i consumi e lo stile di vita juchitechi “migliori”, un risultato che senza dubbio si deve all’educazione materna.

Al carattere pubblico delle loro vite va aggiunto il fatto che le donne producono e poi vendono cibi e oggetti di artigianato di fronte a casa, o lungo i vicoli e le strade, o nei mercati frequentati solo da donne, utilizzato i ricavi per le spese più grandi, come costruire una casa o l’educazione dei bambini.

La povertà e la mancanza di sviluppo, dilaganti in altre parti del Messico, sono sconosciute a Juchitán, dove le donne mantengono un’economia tradizionale su base regionale, perlopiù autosufficiente. I prodotti del posto sono molto più apprezzati di quelli importati, e la gente va fiera del cibo, dei vestiti e della musica di Juchitán.

In Juchitán raggiunge l’apice del prestigio non chi ha più denaro, ma chi ha dato di più agli altri. L’economia locale non si fonda tanto sull’accumulo di ricchezze personali, quanto sulla condivisione dei beni, secondo criteri che premiano la mutualità. Questo tipo di “economia del prestigio” ruota intorno al rafforzamento del legame sociale grazie al festoso consumo collettivo dei beni, che anziché essere accumulati dai singoli individui, circolano come doni.

I festival del merito delle donne sono straordinari. In molti parti del mondo queste celebrazioni sono affare di uomini e le donne gli oggetti del loro onore. Ma non a Juchitán, dove le donne sono il soggetto, nonché le attrici, delle feste che si celebrano pubblicamente nelle strade. E così’ le feste hanno una funzione di livellamento; è questa la finalità del dono in un’economia basata sulla mutualità e l’equilibrio. In questo modo si riducono drasticamente le differenze tra ricchi e poveri: da una donna ricca ci si aspetta che dia di più, sia come ospite che come invitata».

 

Il Ciclo della vita nella cultura Juchiteca

Relatrice Rosa Martha Toledo Martinez, artista e portavoce Juchiteca

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Culture Indigene di Pace, Ri-educarsi alla Partnership

Torino

Sabato 27 aprile ore 11.00

 

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COMPLICI, Liberi dai rapporti di dipendenza http://www.associazionelaima.it/blog/complici-liberi-dai-rapporti-di-dipendenza/ http://www.associazionelaima.it/blog/complici-liberi-dai-rapporti-di-dipendenza/#comments Sat, 30 Mar 2013 15:03:19 +0000 http://www.associazionelaima.it/?p=1364 Miriam su

Estratto dal libro

COMPLICI

Liberi dai rapporti di dipendenza

 di Miriam Subirana

 Per gentile concessione della casa editrice 881 Agency

Traduzione a cura di Gabriella De Fina

 

 

(…) Le relazioni sono o dovrebbero essere un sostegno per la nostra vita. Le relazioni presuppongono o dovrebbero presupporre uno scambio di felicità e d’amore. Le relazioni armoniose sono la base per creare, generare e realizzare progetti comuni. È grazie alla cooperazione che raggiungiamo i nostri obiettivi.

Quando durante i miei seminari ho chiesto ai partecipanti quali fossero i principali fattori di stress, di preoccupazione e di sofferenza nella loro vita, una delle risposte più comuni è stata: le relazioni. I rapporti con gli altri sono diventati motivo di angoscia, ansia, costrizione e sofferenza. In essi, invece della fiducia, predomina la paura. Un rapporto d’amore, famigliare o di amicizia dominato dalla paura t’impedisce di sviluppare ed esprimere il tuo potenziale e quindi ti porta a tradire te stesso e ad avere timore della condivisione sincera.

Dato che vivi in condizioni di bisogno interiore e di mancanza di autostima per amarti hai la necessità che altri ti stimino, ti apprezzino, abbiano bisogno di te e ti vogliano bene. Non riesci a volerti bene da solo e continui a dipendere dal giudizio del prossimo, preoccupandoti di quello che gli altri possono dire e pensare di te. Per questo, in qualunque tipo di rapporto umano, la comunicazione è fondamentale.

Devi saper esprimere quello che senti, non avere preconcetti e non fare supposizioni; devi imparare a vederci chiaro. Quando c’è un dialogo reale condividiamo le cose essenziali e risolviamo i conflitti che ci dividono. Anche quando il tuo è un conflitto interiore, la soluzione sta nel dialogo tra cuore e mente, tra ragione e coscienza.

Riguardo ai rapporti di genere, vigono oggi alcune teorie politicamente corrette sull’uguaglianza tra uomini e donne che stanno creando una società sempre più polarizzata. Ritengo che sia necessario smontarle e operare un’inversione di tendenza. In una situazione in cui le persone non si incontrano, si sono creati due gruppi contrapposti arroccati su posizioni di conflitto, che invece di cercare la riconciliazione cercano di uscire vincitori dallo scontro.

Javier Melloni afferma che la spirale dell’autoaffermazione trasforma i rapporti in sfide. La lotta di genere è uno degli scenari in cui la disputa sulla propria specificità può trasformarsi in un inferno, in una sequela di accuse, aggressioni e sottomissioni. Le caratteristiche di ciascun genere vengono usate come strategia di controllo e di oppressione. L’uomo si serve della forza fisica e della freddezza mentre la donna si avvale del ricatto affettivo e della manipolazione. Calcare la mano sulle differenze aumenta il disaccordo e provoca odio invece di arricchire con la complementarietà.

“Finché gli uomini avranno paura delle donne e viceversa, sarà difficile o quasi impossibile che tra loro esista un rapporto di reciproca accettazione e di riconoscimento dell’unicità del singolo”.

Fin quando userai le relazioni come mezzo di gratificazione, come via di fuga e come diversivo, non ne trarrai mai un arricchimento personale. Non puoi riconoscerti nello specchio dell’altro perché lo stai usando per sfuggire a te stesso e alla tua solitudine.

Entri in una stimolazione esteriorizzata che non ti permette di guardarti dentro. Vuoi rimanere nell’ambito di ciò che conosci e riduci il rapporto a ciò che ti dà sicurezza, a un’abitudine; così la relazione con l’altro si risolve in una delle tue tante attività. Se la impostassi diversamente, potrebbe costituire un processo di rivelazione personale. Potrebbe essere uno strumento mediante il quale tu ti riscopri nell’altro, e l’altro si riscopre in te, senza giudizi e con piena accettazione. Perché ciò sia possibile però è necessario svelare le illusioni e demistificare l’amore. Svegliarsi dai sogni ingannevoli. (…)

 

Miriam Subirana terrà al convegno di aprile il workshop “Nuovi modelli di relazione tra uomini e donne”, per maggior informazioni vai al sito dedicato tornando sulla home.

E’ scrittrice, artista, formatrice, ricercatrice presso l’Università di Barcellona,  autrice di diversi libri  ha pubblicato di recente in Italia: “Complici, liberi dai rapporti di dipendenza” (Ghena Editore, ora 881 Agency). Lavora attivamente per creare una società più giusta, fondata su valori umani, etici e spirituali. Direttrice del Centro Internazionale di Creatività, Spiritualità e Coaching  Yesouisi  di Barcellona, ha dato vita alla  “Fundación Educación Emocional”. Trainer nei processi di ricerca apprezzativa, scrive sul quotidiano ” El Pais”, tiene lezioni e workshop in tutto il mondo.

 

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Intervista a Luciana Percovich http://www.associazionelaima.it/blog/intervista-a-luciana-percovich/ http://www.associazionelaima.it/blog/intervista-a-luciana-percovich/#comments Wed, 20 Mar 2013 13:06:42 +0000 http://www.associazionelaima.it/?p=1324  

11.04.12 > Fermomag.it

Morena Luciani e Luciana Percovich

 

“Ri-educarsi alla partnership” è il tema dell’edizione 2013 del Convegno Internazionale “Culture indigene di Pace”. Ce ne parla Luciana Percovich, scrittrice e studiosa delle mitologie pre-patriarcali, che nel workshop “Eros e Psiche: una favola antica alla luce delle nuove consapevolezze del tempo presente” introdurrà al pensiero delle donne sulle narrazioni di sessualità e anima, sesso e amore.

 

 

 

 

Perché un convegno sulla partnership, ossia su una speranza di rapporto in equilibrio tra donne e uomini?

Innanzitutto perché senza un sogno, senza un progetto, senza un lancio in avanti dei propri desideri nulla si crea. Immaginare futuri è come mettere il lievito nell’impasto.

Da tempo le femministe sono uscite dalla fase del separatismo puro e duro, o meglio abbiamo capito che ci sono parti di percorso che vanno fatte da sole e altre parti che vanno condivise.

Per esempio, l’apertura della Libreria delle donne di Milano agli uomini già parecchi anni fa, la collaborazione di alcuni di loro alla rivista Via Dogana sono stati i primi passi in questa direzione. Ma finora hanno prodotto soprattutto un’eco di voci maschili alle elaborazioni del pensiero femminile, non ci sono state reali novità o intuizioni fruttifere. Altrove le riflessioni maschili sul tema della necessità di inventare un nuovo equilibrio tra donne e uomini hanno addirittura portato alla ripetizione di cose già dette dalle donne, ma con la presunzione di averle pensate loro per la prima volta, riproducendo ancora la reiterata cancellazione maschile della fonte/origine.

 

L’idea lanciata da Morena Luciani, immagino anche grazie alla sua formazione di antropologa, di portare all’interno del dibattito italiano esempi di come si vive la relazione donna-uomo all’interno di culture indigene non violente, permette ora agli uomini di trovare un nuovo modo per inserirsi in questa ricerca, non più come ripetitori di una riflessione in cui sono stati tirati dentro per i capelli o spinti da astratti ideali di giustizia, ma attraverso la scoperta e la possibilità di un rispecchiamento in concrete modalità diverse di vita. Vedere migliaia di uomini che vivono in situazioni di relativo benessere per quanto riguarda le relazioni tra donne e uomini può veramente portare un cambiamento nell’immaginario. Abbandonando un approccio ideologico, il coinvolgimento degli uomini oggi può essere molto più pragmatico, basato su dati di realtà. Come è un dato di realtà la diversità di molti giovani uomini dai loro padri. Questa è la sfida che il convegno porta avanti.

 

La conoscenza diretta di queste culture è stata sicuramente anche uno degli elementi più fecondi nella prima edizione del convegno nel 2012. Si è guardato a queste culture con attenzione ma anche con molto stupore, perché?

 

Questo perché in fondo siamo le prime generazioni di donne e uomini che, grazie al lavoro di Gimbutas sappiamo che anche nel passato è esistita una società diversa, pacifica ed egualitaria. Quando noi femministe negli anni ’70 abbiamo iniziato il nostro cammino, la nostra era una posizione interamente utopica, una speranza, uno sforzo dell’’immaginazione: questo dato ci mancava. Adesso sapere che nella storia c’è stata ed è durata millenni una civiltà che non conosceva la violenza, che non era basata sul dominio ma sulla ricerca della collaborazione e dell’equilibrio tra umani e tra umani e mondo naturale, cambia moltissimo e rinforza la nostra posizione.

E sappiamo parimenti che, dall’entrata in campo delle antropologhe donne all’inizio degli anni ’70, è cominciato a cambiare anche lo sguardo dell’antropologia e, attraverso lo sguardo femminile e il mostrarsi di quella parte del sapere indigeno che non poteva essere mostrata all’antropologo maschio, oggi è possibile leggere nelle società contemporanee le tracce della continuazione ininterrotta delle società matriarcali delle origini, là dove prima si vedevano solo stranezze o bizzarre eccezioni alla regola di un mondo ovunque governato dal Patriarcato.

 

Al Convegno di quest’anno sarà finalmente disponibile in italiano il libro di Heide Goettner-Abendroth, Le Società matriarcali. Studi sulle culture indigene del mondo, in cui sono raccolti gli studi su decine di culture matriarcali contemporanee, frutto anche del lavoro e della presa di parola di ricercatrici e ricercatori indigeni.

Questa irruzione e valorizzazione della sapienza dei popoli indigeni è davvero importante perché lavora in due direzioni contemporaneamente: ci mostra l’esistenza di modelli reali di società diverse da quella occidentale e patriarcale e sostiene in positivo la consapevolezza delle culture indigene, finalmente orgogliose di rivendicare le loro identità.

Questa nuova circolarità delle conoscenze tra i continenti, grazie anche ai momenti importanti avvenuti nei decenni passati a livello di congressi internazionali, è ossigeno per un mondo di speranze in apnea, è nascita di alleanze tra culture lontane che ora si riconoscono a vicenda.

 

Quindi un invito agli uomini perchè siano partecipi di un cambiamento che potrà determinare un nuovo corso per l’umanità?

 

Dagli uomini ci aspettiamo segnali precisi, perché non esistono scorciatoie che taglino via i problemi lasciati in eredità a maschi e femmine da 5000 anni di dominio necrofilo: gli uomini devono apprendere l’umiltà e la curiosità di leggere e studiare il pensiero delle donne, non continuare a fare riferimento al pensiero degli uomini sulle donne. Avete mai provato a scorrere le bibliografie dei sedicenti amici delle donne? Ci fosse una sola citazione della ormai vasta e accessibile produzione femminile, in tutti i campi del sapere!

Occorre confronto reale e leale. Oggi lo possiamo iniziare, a meno che non decidiamo volutamente di tapparci occhi e orecchie e continuare sulla direzione deviata iniziata con la cacciata delle donne dal centro della creazione.

 

 Luciana Percovich è autrice di La coscienza nel corpo. Donne, salute e medicina negli anni Settanta, Franco Angeli, 2005; Oscure madri Splendenti. Le radici del sacro e delle religioni, Venexia, 2007 e Colei che dà la vita, Colei che dà la forma. Miti di creazione femminili, Venexia, 2009. Attiva nel movimento delle donne dagli anni ’70, ha tenuto corsi per la Libera Università delle Donne di Milano, diretto collane di saggistica e scritto su varie riviste occupandosi di medicina delle donne, scienza, antropologia, mitologia e spiritualità femminile.

 Nel sito www.universitadelledonne.it cura la rubrica “MitoReligioni”.

 

 

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Lettera aperta di Mario Bolognese http://www.associazionelaima.it/blog/lettera-aperta-mario-bolognese/ http://www.associazionelaima.it/blog/lettera-aperta-mario-bolognese/#comments Wed, 20 Mar 2013 12:49:16 +0000 http://www.associazionelaima.it/?p=1313 LETTERA APERTA A TUTTI I GIOVANI UOMINI

ELETTI IN PARLAMENTO CON OGNI FORMAZIONE POLITICA

 di Mario Bolognese

Mario Bolognese

 

 

 

 

 

Forse tutti i draghi che incontriamo

nelle nostre vite

sono soltanto principesse

che stanno aspettando

di vederci agire almeno una volta

con bellezza e coraggio. ( R.M.Rilke )

 

Sono un maestro elementare in pensione e faccio parte di Laima, www.associazionelaima.it , un gruppo di donne e di uomini che “pensano pace”oltre i nostri confini, riconoscendo la differenza di genere come risorsa.

Non avendo pillole di saggezza da distribuire sento solo il bisogno, ma anche il piacere, di scambiare due parole con voi. E di condividere alcune riflessioni.

Infatti a qualsiasi partito o movimento voi apparteniate mi rappresentate, sia come cittadino che come appartenente al genere maschile.

So che ognuno di voi pensa di servire il bene comune, e ovviamente non ne dubito. Ma la domanda che mi faccio è questa: esiste un ideale, una politica, un servizio “neutro”?

O non è forse vero che sulla terra siamo uomini e donne che pensano e vivono anche la politica e che dunque la neutralità è solo apparente?

Se qualcuno di voi ora pensa che il suo pensiero e orientamento sia buono di per sé, come valore universale, è inutile che continui a leggere. Con tutto il rispetto per chi non la pensa come me proprio non ci capiamo…Mi rivolgo a chi non trova giusto dire “uomo” che comprende antropologicamente anche la donna. E a chi sente il valore ma anche il limite, la parzialità del nostro modo di vedere. Siamo nella realtà ma non siamo la realtà…

La parola e il pensiero non più ( falsamente…) neutri donano a noi uomini (maschi ) l’umiltà che produce ascolto; e la capacità di essere anche fecondati…

Donne e uomini, bambini e bambine…

Mi si potrà dire che ben altri sono i problemi e che pensare al genere, di questi tempi, sia un lusso che non ci possiamo permettere.

Ma la questione di genere non è astratta: basta pensare alla personalizzazione quasi generalizzata della recente campagna elettorale. Le donne -e questo va contro il dettato costituzionale- quasi invisibili e sarebbe stato un mio diritto sentirle. Mentre si sentivano, eccome!, i maschi… E con le donne diventano invisibili bambini e bambine, la natura ,gli animali… E’ la donna al centro del “patto con la vita” e se questa non è politica?…

A vari livelli di responsabilità e di “machismo”, più o meno esibito o sottile, siamo ancora all’ uomo solo ( maschio) che si propone come salvatore… Uno vorrebbe sorridere per non essere preda di sconforto. Per cui è anche una questione di democrazia… Bisognerebbe infatti disporre a terra, cercando magari di farne un cerchio, la famosa scala gerarchica che prevede all’apice un “capo”…Questo non ha portato mai bene all’Italia…L’ “essere senza vincoli di mandato”, per voi, è possibile quando la scala è orizzontale…So che amate la libertà e dunque la giusta l’autonomia è sempre possibile…L’unico vero tradimento è venir meno al “ patto con la vita”. Il degrado idro-geologico del territorio è avere infranto, dentro di noi, il “ patto con le acque”, e cioè con la madre-Madre… Le acque della vita sono sue…

E tutto questo inevitabilmente , a questo punto del nostro discorso,si collega al tema delle violenze sulla donna. Sono di vario genere, e quelle quotidiane, quasi sempre invisibili, sono spesso torture e “omicidi” di anima e pensiero, al pari del “ femminicidio” da cronaca nera…Senza dimenticare che una strisciante quotidiana violenza su manifesta spesso, a scuola e in famiglia, ruolizzando bambini e bambine in vestiti culturali ingessati. Per cui un grande fondamentale impegno politico, prioritario, è riqualificare la scuola, e la dignità anche economica delle e degli insegnanti, a partire dal nido.

Se la politica è occuparsi della qualità della vita, materiale, culturale e spirituale, l’assalto, l’odio, il disprezzo verso la donna, che rappresenta il primo grande “ laboratorio della vita e del pensiero”, è toccare, inquinare e inaridire il nostro primo “ bene comune”… E così degradare e avvilire noi stessi… e il mondo…Il primo grande inquinamento è negare la “ bellezza” e la nonviolenza difficile ma possibile della condizione umana: sporcandoci sporchiamo… Per avere pace bisogna prima di tutto disarmare il pensiero…

Infrangiamo l’assurdo mito della “forza maschile” e riconosciamo., come dono da trasformare in risorsa, la nostra vulnerabilità. Questa è virilità…

Chi urla o impone la sua idea lo fa a causa della sua fragilità: perchè in fondo la sua anima è àfona, ha perso la sensibilità delle foglie, l’ascolto di ogni alito di vento…

Ritroviamo bellezza e tenerezza… l’abbiamno dentro di noi e qualche volta il pensare troppo ai problemi “macro” della società ci fa dimenticare che è la sensibilità e l’attenzione nel quotidiano, anche il rispetto per la natura e gli animali, che nutre e prepara la nostra “ qualità” politica.

Insomma togliamoci un po’ di scorza “ virilista” – l’abbiano un po’ tutti, anche se ben nascosta- e investiamo sul gheriglio…

In sintesi, per parlare in bambinese, scendiamo dalla scala e facciamo girotondo…

Anche perchè l’orizzonte nuovo della politica è badare più alla “matria”, che ha meno bandiere della “patria” ma ha più laboratori di vita, talora meno noiosi.

Se ci contattate a Laima o ci venite a trovare ne saremmo ben lieti , noi uomini e donne. Portando il vostro pensiero e la vostra poesia. Incomincio io con la mia…

 

L’albero della pace

ha radici di donna

che portano linfa e sapienza

e un tronco di uomo

che il mondo apparente

sistema, protegge,

e qualche volta corregge,

e figlie e scoiattoli e uccelli

e trepidi giochi

e ritmici incanti

sono la parte bambina

che invita alla danza divina.

( Da “ I’sorry baby, Osiride, quaranta poesie

tradotte in varie lingue” ).

 

 

Marzo 2013

 

 

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Perché quella di Assiotea è la nostra sfida http://www.associazionelaima.it/blog/perche-quella-di-assiotea-e-la-nostra-sfida/ http://www.associazionelaima.it/blog/perche-quella-di-assiotea-e-la-nostra-sfida/#comments Thu, 14 Mar 2013 11:38:01 +0000 http://www.associazionelaima.it/?p=1300 DanielaDegan

Articolo di Daniela Degan,

per gentile concessione di Comune  Infohttp://comune-info.net

 

 

Assiotea è la figlia diciassettenne di un commerciante di papiri, di nome Piramo e di Antinoe, copista che insegna alla figlia, alla tenera età di sette anni, a leggere e scrivere. Assiotea leggeva i testi dei filosofi greci, copiando capiva e sapeva leggere tra le righe le parole dei filosofi che avrebbero forgiato il pensiero dell’uomo occidentale. I libri che copiavano Assiotea e Antinoe avevano un unico difetto, non erano mai scritti dalle donne, salvo le poesie di Saffo e di Prossilla.

 

Assiotea non voleva accettare che la storia venisse scritta solo dagli uomini. Antinoe, la madre le ripeteva: «La stessa mano che ha retto la spada, ha usato anche il calamo. Re, faraoni, condottieri, arconti, strateghi, filosofi, attori, sacerdoti, cittadini intenti a pensare, programmare, fare solo e soltanto guerra».

 

Di nuovo un sogno lucido, un sogno rivelatore di esperienze antiche, una nuova intervista alle eroine di un tempo lontano: il porto del Pireo, Atene, Ellade 350 a.c.

 

Mi trovo nel porto del Pireo, decine di navi attraccate alle banchine di pietra. La piazza è formicolante delle sue molteplici attività e frenetica. Insieme ad altre persone mi muovo: al di là della piazza c’è il grande mercato e tutto intorno mura altissime, invalicabili. Continuiamo a camminare in silenzio, svoltando a destra e a sinistra. Arriviamo nell’Agorà, camminiamo verso una salita in fondo, verso i platani, c’è un edificio rotondo: è la bottega dei libri. Ci stiamo dirigendo proprio là.

 

Al mio fianco c’è una giovane donna, capelli cortissimi, zigomi lievemente sporgenti, occhi fortemente incassati, bellissimi, il suo volto come un sorriso.

 

Porta al collo un piccolo flauto. Ci guardiamo con complicità, al mio collo prende la statuina della dea madre.

 

Mi rivolge la parola guardandomi intensamente negli occhi:

 

Assiotea: «Io sono Assiotea di Fliunte, mio padre è stato Piramo, commerciante di papiri, mia madre Antonoe, copista, mi ha insegnato a scrivere quando ancora avevo sette anni. Vedi, lì si vendono libri. Sapere che in questa piazza si smerciano oltre il bestiame umano (gli schiavi) anche i libri di Tucidite e di Erodoto, mi fa comunque sentire carica di entusiasmo, mi sento capace di prendere il mondo racchiuso nella metà inferiore della clessidra e rovesciarlo, metterlo sottosopra e provare a cambiarlo!». La guardo con profonda sorellanza, percepisco la sua passione, l’amore per i libri e la lettura, vibra il suo corpo di entusiasmo per il cambiamento. Insegue un sogno che mi appartiene.

 

Dan: «Io ti omaggio con amore sorello, Assiotea. Io sono Dan del serpente arcobaleno, una ribelle pestifera e moderna che, in un altro tempo e in un altro spazio, immagina il tuo stesso cambiamento! Tu Assiotea sei la donna che ha sfidato il grande Platone e l’Accademia di Atene, tu sei la donna che ha lottato per la liberazione della schiavitù e delle donne. Sono qui per ascoltare il tuo pensiero limpido e il racconto delle tue gesta, così che altre donne sappiano e prendano la parola. Sono passati più di cinquemila anni, alcune di noi pensano e sentono che può emergere una Nuova Era e lavorano perché questo possa accadere. A Taranto, ad esempio, finalmente c’è un giudice, una donna, una giudichessa che ha bloccato la produzione nociva di una fabbrica. È come se qui nel tuo mondo un magistrato o l’assemblea dei cittadini ateniesi bloccasse la estrazione di oro in una delle vostre miniere perché l’attività è ritenuta disumana e nociva per la salute degli schiavi che ci lavorano e per tutelare i bambini-schiavi…».

 

Assiotea mi guarda e stupita mi dice: «Un magistrato donna? Ma allora le donne non sono più considerate inferiori per natura all’uomo come sostiene e scrive Platone?».

 

Dan: «Cara Assiotea, il pensiero filosofico di Platone, di Aristotele, dell’Accademia è stato considerato per millenni la base dell’agire del mondo, è stato ed è ancora la cultura dominante occidentale, ma le donne hanno saputo fare emergere nuovi pensieri, sempre con molte difficoltà, prima quella della divulgazione del nostro pensiero, poiché da sempre in ogni continente le case editrici non ci sono amiche. Ma noi ci siamo riuscite, ricerchiamo testi, ci scambiamo titoli, libri e indaghiamo le nostre origini con disciplina, costanza nell’intento e con passione. Ma dimmi di te, giovane amica, antica sorella!».

 

Assiotea: «Se io potessi leggerei solo i libri di Storia. Nella storia c’è scritto tutto. Chiesi a mia madre, prima che morisse: madre perché mio padre non ci porta mai da copiare libri scritti da donne? Ora tu mi dici che nel tuo mondo, nel futuro… ci sono donne, molte donne che prendono il calamaio e scrivono, pensando e agendo. Ne sono profondamente commossa. La follia dell’uomo, la sua violenza e le sue guerre. L’uomo non sa fare altro. Uccidere e poi raccontarlo. E ogni guerra è una sconfitta per la nostra evoluzione. Ho letto la Repubblica del sommo Platone: dice che l’uomo è superiore alla donna per natura. Sono entrata nella sua Accademia, con la mia amica Lastenia, aiutate da Iperide, Diogene, Focione e Demostene, perché queste leggi non mi piacciono. Così ho scoperto che in Accademia non c’è alcuna biblioteca. Platone non fa altro che screditare l’uso dei libri perché sostiene che oltre a non rispondere alle domande, i libri bloccano il pensiero umano. E maestri come Antifonte, Diogene, Leucippo, Democrito vengono cancellati perché il loro pensiero non rientra nell’ordinamento voluto dal sommo filosofo!».

 

«Mi disse un giorno Eudosso – prosegue Assiotea – prima che io andassi in Accademia: “Chi muove l’Ellade, chi crea il pensiero di un popolo, sono i filosofi vincitori: Platone e Aristotele. Cosa pensi di fare, Assiotea, entrando in Accademia, la rivoluzione? Cambiare le loro idee? Cosa pensi? Magari non credi negli dei e sei contraria alla schiavitù e magari credi che voi donne avete un’anima come noi uomini?».

 

Ancora Assiotea: «Volevo comunque andare all’Accademia di Platone e sfidarli…. E ci andai, insieme a Lastenia, l’amante di Speusippo, nipote di Platone. Ci andai vestita da maschio, non mi feci ricrescere i capelli dopo essere stata schiava dentro le miniere dell’oro. Misi una fascia stretta sul petto, andai con vestiti da uomo perché dovevano sapere che io sono una donna non per il mio aspetto, ma per come avrei ragionato al cospetto del sommo Platone. Mi disse Diogene prima di entrare in Accademia, sulla sua porta: “Ragazza sei diventata famosa: i ricchi ti temono, hanno paura che tu possa portargli via i loro schiavi. Mentre tu per questi ultimi rappresenti la speranza! Ma tu sei pazza se pensi di fare cambiare idea a Platone e Aristotele. Io posso cambiare il mio pensiero perché sono spinto solo dall’amore per la verità. Nessuno mi può comprare, perché ho rinunciato ai beni materiali. A tutto. Possiedo un solo bene, il mio pensiero, la mia mente. Ma Platone e Aristotele no. Loro hanno un prezzo e non solo materiale, sono ambiziosi. Per loro il dominio delle menti è la loro stessa fonte di vita. Quei due non sono al servizio dei potenti, sono essi stessi due potenti. Sanno di poter controllare il modo di pensare e di vivere di un popolo. Assiotea quei due non hanno una morale, un’etica. Sono solo due macchine da guerra. Tutto ciò che dicono e fanno sono indirizzati ad un unico scopo: il dominio».

 

Assiotea: «Però andai. Il primo incontro con Platone fu deludente. Parlò di una lunga storia su Atlantide che non mi convinse per nulla e anzi mi dava da pensare. Tutti quei dettagli a mio avviso inutili, come fosse una montatura organizzata per fare passare date ed eventi… Poi Platone, il sommo filosofo volle conoscermi. Non ero nelle sue grazie. Mi disse. “È meglio essere sinceri, Assiotea di Fliunte. Tu hai avuto l’ardire e la stoltezza di firmare i commenti su quelle copie della mia Repubblica, quindi già conosco il tuo pensiero. Poi c’è stata la tua partecipazione all’Assemblea della Pnice. Per me sei un libro aperto, parlare con te è sprecare tempo prezioso. È come parlare con quello straccione di Diogene. Ma permetterò di realizzare il tuo sogno. Siediti e partecipa alla discussione».

 

Assiotea: «Mi sentivo strana, cara Dan, un pesce fuor d’acqua, cominciavo ad avere la sensazione che sarebbe stato tutto inutile, Platone era un muro invalicabile, impenetrabile, un vecchio pieno di sé e di manie di onnipotenza, ma oramai ero lì e mi chiamò a parlare. Aristotele con una vena di disprezzo visibile mi indicò la sedia di marmo davanti al Maestro. Il mio cuore lo sentivo galoppare, ma presi a parlare: «Molte volte ho pensato a questo momento, signore, ma ora è tutto diverso, perché questa è la realtà e io non posso correre il rischio di essere fraintesa, oppure di essere banale. Quindi preferisco essere sincera fino in fondo, a costo di infrangere le buone maniere che si addicono a una circostanza e ha un luogo come questo. Tu sai, Platone, che io di professione faccio la copista: ma quando trascrivo i libri, soprattutto i tuoi, oltre a copiarli con gli occhi, li leggevo con la mente. E talvolta, è vero, ho scritto dei commenti a margine dei tuoi pensieri. Quello che non riuscivo a capire era come fosse possibile che un grande filoso come te, Platone, potesse giustificare la schiavitù e la condizione delle donne. Molte altre cose ho in mente di dirti, e se in futuro me lo permetterai, lo farò, ma i capisaldi sono questi due: tu dici che si nasce schiavi, che gli schiavi sono inferiori ai cittadini liberi per natura. Tu affermi, Platone, che la donna è inferiore all’uomo perché così ha stabilito Madre Natura. Queste idee che sono del pensatore più grande dell’umanità, sono gravi, per me molto gravi, perché è in discussione il destino e il futuro non solo di Atene, ma di tutto il genere umano… Platone non parlò, ma fece cenno con la mano ad Aristotele che disse: “La posizione del Maestro non è così netta come vuoi fare intendere tu, Assiotea, se hai letto attentamente La Repubblica avrai notato che Platone immagina una società in cui l’uomo e la donna sono praticamente uguali nelle mansioni da svolgere”. Io pensai che era anche questa parte una favola che somigliava alla storia fantastica che il Maestro raccontava di Atlantide. Lui seguitò quasi avesse letto il mio pensiero critico, cambiando discorso, attaccandomi.

 

“È bene che tu sappia che il Maestro ha chiesto il mio parere sulla tua ammissione in Accademia: pur avendo una grande stima per me, non ha voluto ascoltarmi. Io ero contrario. Avevo letto i tuoi commenti su quella copia della Repubblica. Sapevo perfettamente che, con le tue stupidaggini sulla condizione femminile, ci avresti fatto perdere tempo prezioso, qui non si scherza! Qui stiamo cercando di mettere ordine nel cielo e sulla terra! Qui si studiano matematica, filosofia, botanica, minerali, le stagioni, la storia dell’uomo, le guerre, la politica… La nostra è una società organizzata alla perfezione: ogni tassello costituisce un pezzetto del grande mosaico del nostro destino. Noi filosofi siamo superiori alle piccole vicende umane di oggi, il nostro è un progetto millenario. Per questo non possiamo perdere tempo dietro le tue idee, tu sei qui perché lo vuole il maestro che è diventato troppo buono invecchiando, vorrebbe avere il consenso di tutti mentre qui si apprende a dirigere tutto il genere umano e ad essere spietato. Tu sei una donna che non si arrende molto facilmente. Sappi allora che per quanto riguarda la condizione del sesso a cui tu appartieni io sono molto più chiaro di Platone: la donna non è inferiore all’uomo per natura perché il solo dire questo avvicina troppo questo essere alla nostra nobiltà. La donna è uno scarto della natura. Questo è il frutto dei miei studi. Perché dunque stiamo qui a perdere tempo dietro uno scarto della natura?!”».

 

(fine prima parte)

 

Assiotea, la donna che sfidò Platone e l’Accademia, romanzo storico di Adriano Petta (Eretica Speciale/ Stampa Alternativa 2009). Raccomando la lettura della nota dell’autore, che ringrazio per avere scritto questo magico libro, dai risvolti complessi per me appassionanti, femministi e spirituali, riportata su: qui.

 

Bibliografia

 

Tiziano Dorandi, Assiotea e Lastenia. Due donne all’Academia. In: Atti e Memorie dell’Accademia Toscana di Scienze e Lettere La Colombaria 54, 1989, S. 51–66 (S. 61–66 Zusammenstellung der Quellentexte mit italienischer Übersetzung)

 

Konrad Gaiser (Hrsg.): Philodems Academica. Frommann-Holzboog, Stuttgart-Bad Cannstatt 1988, ISBN 3-7728-0971-5, S. 154–157, 358–364, 449–452

 

Richard Goulet, Axiothéa de Phlionte. In: Richard Goulet (Hrsg.): Dictionnaire des philosophes antiques, Bd. 1, CNRS, Paris 1989, ISBN 2-222-04042-6, S. 690–691

 

Sitologia

 

http://www.filosofico.net/speusippo.htm

 

http://www.ledonline.it/rivistadirittoromano/allegati/attipontignanocavallini.pdf

 

http://www.tages.eu/?page_id=1074

 

http://www.adrianopetta.com/pdf/assiotea.pdf

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