In origine il 2 febbraio era la Festa della Grande Orsa, la prima dea celebrata e onorata dall’umanità, la prima Antenata che ha insegnato il processo di VITA-MORTE-RIGENERAZIONE che presiede ai cicli del cosmo. Il 2 febbraio era uno dei momenti più importanti per le comunità antiche, una festa della luce celebrata con falò o processioni rituali di torce infuocate, e come evidenzia la ricercatrice Caterina Agus: «Nel V secolo, nel tentativo di redirezionare queste pratiche in senso cristiano, papa Gelasio istituì la festa delle candele: tuttavia in Francia, dove il ricordo della Festa dell’orso era ancora molto vivo, dal XII al XVIII secolo, la festa candelarum fu spesso chiamata “Candelorsa”».
L’orsa era l’emblema delle forme più arcaiche dello sciamanesimo femminile e del paganesimo, tanto che la Chiesa nell’epoca di Carlo Magno si rese conto che non poteva convertire le genti dei villaggi se non toglieva di mezzo gli orsi. Così convinse l’imperatore a indire due crociate contro di loro, in quanto “pericolosa manifestazione del Diavolo”. Un destino che poco più tardi toccò alle donne accusate di stregoneria.
Il genocidio degli orsi, il genocidio delle donne e del sacro patto ancestrale che avevano stretto tanto tempo prima con le forze cosmiche della Terra.
Il seguente testo è stato pubblicato nella antologia “Riflessi della Dea. Studi sul Femminile Sacro dall’antichità mediterranea al futuro prossimo”, a cura di Sarah Perini, per La Cicala Editore e può essere utilizzato citando l’autrice e il riferimento bibliografico.
LA GRANDE ORSA E IL RITORNO DELLA FAMIGLIA ANCESTRALE
Articolo di Morena Luciani Russo
Noi crediamo che ogni essere umano dovrebbe offrire qualcosa all’orso in segno di gratitudine.
Detto Sami
Ricordo quando nel 2015 l’attrice Emma Thompson apparve in pubblico, insieme al gruppo di Greenpeace, trascinando una grande orsa davanti alla sede della Shell, per cercare di fermare le trivelle della casa petrolifera e salvare l’artico e gli orsi polari da un’ennesima espoliazione della Terra. Aveva le impronte dell’orsa disegnate sulle guance e parlava con la dolcezza e la determinazione che la caratterizzano. Mi colpì molto questa apparizione, perché già una decina di anni prima l’Orsa era comparsa nel mio percorso sciamanico, chiedendomi di dedicarle parte della mia esistenza. Essa non è stato l’animale della mia iniziazione, ma sicuramente quello che ha radicato di più il mio lavoro sciamanico sul territorio italiano.
La forza e l’amore dell’Orsa hanno nutrito e portato guarigione a centinaia di donne in questi anni e in questo cerchio sono compresa anche io, chiaramente. A oggi, posso affermare che l’orsa è stata il veicolo più potente attraverso cui la Grande Madre mi ha chiesto di parlare di sé.
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Anche quando fondai l’associazione Laima, scelsi un sigillo che la raffigurava, ma ancora non avevo colto il valore collettivo e archetipale della sua energia, e pensavo di averla scelta in quanto rappresentativa di uno degli animali più importanti della via sacra che avevo intrapreso.
Nel tempo di questi venti anni, ho compreso sempre più quanto l’energia di orsi e orse stia pervadendo i nostri mondi interiori, ma anche esterni, visto il gran parlare che si fa di loro su giornali e social, in seguito alla ripopolazione del territorio italiano e alle sempre maggiori apparizioni, se pur spesso portate a tristi conclusioni.
Ma chi è questa grande e poderosa dea con la pelliccia? Perché riappare in questo momento storico e dove ci sta guidando?
La storia dell’umanità si intreccia con quella del mondo ursino fin dai suoi primordi. Le più antiche tracce di ritualità umana sono collegate a questo animale, a partire da tempi neanderthaliani, si parla di 70.000-80.000 anni prima dell’era comune.
Un tempo molto lontano di cui si discute poco, considerando che la nostra storia culturale non viene quasi mai narrata oltre i 40.000 anni fa. Eppure, a oggi, sono tanti gli studi che dimostrano quanto le nostre antenate e i nostri antenati neanderthaliani siano stati importanti nel nostro processo di evoluzione: un popolo che si occupava degli infermi, che seppelliva i morti con rituali funerari e la cui spiritualità si fondava proprio sul culto dell’orsa e dell’orso.
Tra i monti Apuseni della Romania, nella grotta Rece, sono stati trovati numerosi teschi e ossa di orsi risalenti a 70.000 anni fa. In alcune sezioni della grotta si trovava un numero cospicuo di resti, la maggior parte dei quali apparteneva a esemplari giovani. Inoltre, il materiale era sistemato secondo un particolare ordine, ad esempio quattro teschi messi vicini, dal lato occipitale, a formare una sorta di croce.
È evidente che non poteva essere un caso e che fossero stati posizionati così con un intento rituale.
Similmente, nella grotta del Corvo di Borosteni, sempre in Romania, sono stati trovati due teschi di orso delle caverne, sistemati in maniera simmetrica sull’asse est-ovest e grazie alla datazione al carbonio si è rilevato che risalissero a circa 80.000 anni fa. Infine possiamo citare il famoso sito di Drachenloch in Svizzera, una grotta a circa 2500 metri di altezza, una scelta particolare e non trascurabile, in cui sono stati trovati più di trentamila resti. Anche qui apparivano delle particolari disposizioni, le ossa erano sistemate in strane posizioni associate ai teschi, in alcuni casi all’interno di cerchi di pietre. Il tutto in un luogo in cui le viscere della terra lambivano il cielo, ideale per incontrare gli spiriti da un punto di vista sciamanico. Questi ritrovamenti ci aiutano a comprendere come nel culto ursino si nasconda non solo la prima forma di spiritualità umana, ma anche di mitologia e, continuando nel percorso storico-antropologico, vedremo come il filo che ci riconduce a questo tipo di ritualità non sia mai stato completamente reciso.
La grotta Chauvet
Due anni fa, decisi di visitare con la mia famiglia la grotta Chauvet, in Ardèche, nel sud della Francia, uno dei santuari preistorici più ricchi e interessanti del territorio europeo. In realtà, si visita la copia della grande grotta originale, ma è un’opera degna di lode, un importante lavoro ingegneristico e creativo che ci ha restituito la possibilità di visionare il sito tale e quale all’originale.
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La grotta Chauvet risale a circa 36.000 anni fa ed è famosa per le sue eccezionali pitture rupestri di animali, tra cui primeggia una bellissima orsa in ocra rossa. Parlo dell’orsa perché gli ultimi studi sottolineano un culto della grotta orientato al femminile.
Chi si occupa, come me, di studi inerenti al Sacro Femminile, sa bene quanto sia fondante l’universo della Grande Madre lungo tutta la preistoria, ma gli studi ufficiali di archeologia e paleontologia spesso tacciono anche di fronte all’evidenza.
Quando visitai la grotta, la nostra guida non menzionò mai l’orsa femmina e parlò sempre e solo di culto dell’orso, di sciamani e di cacciatori. Mentre la guida parlava, facevo presente a mia figlia e a mio figlio che il teschio dell’orso era appoggiato proprio su una pietra a forma di vulva, ma i miei occhi ormai sono abituati a captare il femminile antico e i suoi simboli.
Grotta Chauvet è divisa in tre sezioni, suddivise secondo i tre colori predominanti, rosso, bianco, nero. Questi, secondo la lettura di Gimbutas e di altre ricerche sono i colori che caratterizzano la visione ciclica della natura quali vita, morte e rigenerazione, riletta secondo un linguaggio lunare a cui poi si ricollegano le tre fasi della dea: Fanciulla, Madre, Crona.
Non ci sono solo raffigurazioni di orsi, anzi, è un’opera d’arte variegata, dove si incontrano rappresentazioni di moltissimi animali, come cavalli, rinoceronti, felini, gufi, iene, che peraltro non erano le prede comuni di quell’epoca, come sostiene Jean Clottes. L’orsa ha però una posizione di particolare importanza per la parete che gli è dedicata, per le ossa che sono state ritrovate e perché là dove ci sono i segni dei suoi artigli sulle pareti compaiono le raffigurazioni degli altri animali, come ad annunciare quello status di «Signora della foresta e degli animali», che le apparterrà per i millenni successivi.
La presenza del femminile nella grotta è ampiamente testimoniata. Nel settore rosso, sono presenti cinque segni a Tau o meglio ancora a Labrys, quella che nel tempo verrà poi riconosciuta come doppia ascia. Secondo Phillipp C. Grote questo simbolo si inserisce perfettamente nella pelvi femminile e fungerebbe da rappresentazione dell’utero.
Nella camera bianca, che collega il settore rosso a quello nero, si trova la famosa civetta, una delle più affascinanti opere della grotta. La Grande Madre in forma di rapace notturno ci riporta ai regni dell’oscurità, al mondo dei morti, ma non solo; in questo caso, sempre secondo Grote, la civetta potrebbe essere letta come guardiana dell’utero, il luogo in cui la magia della vita prende forma e mostra un’ulteriore connessione con la pelvi. L’osso sacro, visto da dietro, assomiglia a una civetta, qualcosa che le nostre antenate potrebbero avere scoperto durante i riti funerari di pulizia delle ossa.
Nell’ultima camera, il cosiddetto settore nero, si presenta un vero e proprio gineceo, con cinque triangoli vulvari e una grande rappresentazione della parte bassa di un corpo femminile, di cui intravediamo una grande vulva e le due gambe, la quale si interseca con le immagini di tre animali: un bisonte, un leone e un mammut. Osservandoli, possiamo affermare che tutte queste rappresentazioni si rifanno ad animali di grande potenza tellurica: erano forse gli animali che guidavano l’iniziata o l’iniziato nel suo processo di rigenerazione sciamanica durante l’ultima parte del rito? Gli orsi, attraverso i lunghi letarghi, erano maestri dei processi di morte e rinascita e chi partecipava al rito della grotta Chauvet entrava nella caverna per imitare o replicare il loro viaggio spirituale o simbolico. La Grande Madre Orsa alla porta di ingresso, nella sua nicchia sacra, guidava le persone verso un potente rituale di trasformazione.
Madre Orsa
La prima Madonna della storia era un’orsa che stringeva in braccio il suo cucciolo. Lei, solitaria e feroce, era anche l’emblema della dolcezza del materno, colei che lecca i cuccioli fino a farli rinvenire alla vita dopo il letargo; nel periodo neolitico, la troviamo ritratta esattamente come una Madonna col Bambino.
Questa è solo una delle sue tante sfaccettature, ma sicuramente una tra le più importanti, visto che alla radice dell’inglese bear oltre a «orsa» c’è anche il significato di «portare» e di «dare la vita», e che nelle lingue slave la stessa radice etimologica è collegata alla parola che indica la gravidanza, bremenost e beremnaya. Madre Orsa ci riconduce a un materno cosmico, fatto di terra che nutre, ma anche di cielo. Secondo lo studioso slavo Stefan Cvetcović, il fatto che le costellazioni dell’Orsa avessero un’importanza cruciale per i popoli antichi, soprattutto quella dell’Orsa Maggiore, rimanda a un significato ulteriore. Il cielo era considerato anche l’eterno abisso acqueo, l’utero della grande orsa con il liquido amniotico, le acque cosmiche che ogni anima deve attraversare
per giungere alla terra degli antenati e delle antenate.
L’orsa, che ci custodisce nel suo ventre, è sia la terra che il cielo, ciò che connette le due parti è l’axis mundi, da sempre rappresentato dall’Albero del Mondo sulla cui cima è situata la Stella Polare: «La più importante costellazione in questo caso è l’Orsa Maggiore, che possiede differenti nomi tra i popoli slavi, tra cui il Grande Carro».
L’orsa è il carro che porta e custodisce le anime e che assomiglia anche a una placenta con il cordone ombelicale (serpente cosmico). Se osserviamo i movimenti stagionali del Grande Carro, notiamo che nel cielo appare una grande svastica con al centro la stella polare, ultima stella della coda dell’Orsa Minore. Lontano dal terribile significato che questo simbolo ha assunto in Occidente, la svastica, in Antichità, faceva riferimento all’infinito moto della vita, simbolo di prosperità e fortuna che quasi sicuramente i popoli avevano mutuato dall’attenta osservazione del cielo.
Secondo Cvetcović, il termine greco arktos e il latino ursus, che furono usati per indicare la costellazione, avevano la stessa radice etimologica da cui deriva la parola «artico», indicando la stella polare: «La Stella Polare si trova in cima all’albero cosmico e il frutto che più frequentemente cresce su questo albero è proprio la mela. Interessante che se si taglia una mela a metà i suoi semi disegnano proprio una stella».
Mi ha sempre affascinato la connessione simbolica degli elementi. Il mio amore per l’arcaico si lega proprio alla capacità delle nostre antenate e dei nostri antenati di saper riconoscere queste connessioni e di costruire un’esistenza fondata su tali conoscenze. Il sistema patriarcale non ha creato solo una gerarchia sociale e di pensiero, ha costruito muri e torri anche dentro di noi, in modo che tutte le parti che ci compongono non potessero più dialogare tra di loro. E come si arriva all’albero delle mele d’oro e della sapienza se non si riconosce la stella dentro la mela? Orsi e orse guidavano gli esseri umani verso una dimensione più estesa dove i confini tra animalità, umanità e sacro si fondevano alla luce fioca dei fuochi accesi nelle grotte, ma questo lo comprendiamo solo se cominciamo a destrutturare quei muri, mattone dopo mattone.
[…]
Candelora e Candelorsa
Abbiamo visto che, ovunque sia esistito il culto ursino, il 2 febbraio rimane la data più importante per la sua celebrazione e in questo giorno, dal Mediterraneo all’Europa continentale, troviamo feste carnevalesche o feste dedicate al fuoco, che poi la Chiesa Cattolica ha cercato di sincretizzare. Nelle credenze popolari, orse e orsi andavano in letargo a partire dall’11 novembre (Festa di San Martino) e si risvegliavano con la comparsa della luna invernale nella notte tra l’1 e il 2 febbraio. Secondo un proverbio molto diffuso, se in quella fatidica notte il cielo è scuro (risveglio in luna nuova) l’orso abbandonerà il suo giaciglio e quindi inizierà presto la primavera; se, al contrario, il cielo è chiaro (risveglio in luna piena), l’orso tornerà a dormire per quaranta giorni e la primavera tarderà ad arrivare.
Il risveglio dell’Orsa rappresentava il ritorno del sole e della luce, quindi il risveglio della Madre Terra dal suo sonno invernale, che si apprestava a fiorire e a rilasciare i primi germogli di vita.
Il risveglio dell’Orso, come paredro della dea e spirito della natura selvaggia, era ritualizzato nei carnevali europei, in particolare nell’area alpina, dove un uomo vestito di pelli o di elementi vegetali, veniva chiamato Orso e compiva spesso azioni goliardiche e a sfondo erotico, di corteggiamento delle donne, e balli sfrenati. In Piemonte si può ancora assistere a questo tipo di carnevali, a partire dalla festa di Urbiano, in Val di Susa, ma anche a Valdieri, a None, a Volvera, nell’Astigiano e nelle Langhe.
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Del culto dell’Orsa apparentemente non è rimasto nulla, come succede spesso quando si guarda a ciò che rimane dei culti antichi, ma scavando sotto la superficie il volto della Dea appare sempre e, mai come in questo momento storico, è importante ritrovarlo e riportarlo nelle nostre vite. Esaminando il carnevale a me più vicino, quello di Urbiano, osserviamo che nel paese c’è una chiesa dedicata a Santa Brigida e che la Festa si svolge proprio nei giorni a lei dedicati.
Santa Brigida era l’immagine cristianizzata della Grande Madre Celtica Brigit o Brigid, Signora del Fuoco e della Forgia, Vergine Sacra, Fanciulla delle Acque Sacre e della Guarigione, della Poesia e del Canto. Gli animali che accompagnano la Dea sono solitamente il lupo, il serpente, la vacca bianca e le api.
Per anni mi sono chiesta come mai venisse celebrata proprio tra l’1 e il 2 febbraio e la sua storia fosse comunque intrecciata con quella dell’Orsa. Studiando a fondo il culto ursino, mi rendo conto che Brigit doveva inizialmente essere stata una dea Orsa di cui oggi rimangono alcune importanti caratteristiche. Il culto del fuoco e del focolare, attraverso cui le donne onoravano le antenate e gli antenati della casa e l’Orsa come Antenata primordiale dell’umanità, si ricollega al fuoco e alla prima scintilla di vita che diede forma alla Terra.
Brigit, Signora delle Acque, si connette nuovamente all’Orsa in quanto, come abbiamo visto in precedenza, essa veniva evocata come utero divino contenente le acque che permettevano alla vita di nascere, svolgendo anche funzione curativa. Qui l’orsa e Brigit si incontrano nuovamente nelle vesti delle grandi guaritrici.
Sono stati riportati casi in cui gli orsi sono capaci di usare alcune piante e radici per curare se stessi e si pensa che le prime piante curative siano state proprio indicate agli esseri umani dagli orsi.
Le sciamane in Siberia venivano spesso chiamate Orse e lo Spirito dell’Orsa era la guida delle più grandi guaritrici e dei più potenti guaritori anche nel Nord America.20 Allo stesso modo Brigit porta la guarigione ai bisognosi ed è patrona di guaritrici e guaritori.
La terza, nonché forse più incredibile caratteristica che tiene unite queste due figure credo sia la famosa Croce di Brigit, che poi Santa Brigida tessé per convertire un pagano! Molto prima che esistesse Santa Brigida, la croce di paglia e giunchi era associata a Brigit, un simbolo solare che irradiava luce e vita nelle quattro direzioni e che rappresentava anche la ruota dell’anno.
Ma dove abbiamo visto apparire per la prima volta questo simbolo? Come abbiamo sostenuto all’inizio di questa ricerca, se si osserva il viaggio che l’Orsa Maggiore compie nel cielo durante l’anno insieme alla Stella Polare, appare il simbolo solare che conosciamo come svastica e che ritroviamo anche nella Croce di Brigit. Quindi, ogni volta che guardiamo Brigit con il suo fuoco e la sua croce di paglia, possiamo tornare a percepire in lei lo spirito ursino che le apparteneva.
Il 2 febbraio era uno dei momenti più importanti per le comunità antiche, una festa della luce celebrata con falò o processioni rituali di torce infuocate, e come evidenzia la ricercatrice Caterina Agus: «Nel V secolo, nel tentativo di redirezionare queste pratiche in senso cristiano, papa Gelasio istituì la festa delle candele: tuttavia in Francia, dove il ricordo della Festa dell’orso era ancora molto vivo, dal XII al XVIII secolo, la festa candelarum fu spesso chiamata “Candelorsa”».
Dopo questo excursus riesco a mettere insieme i pezzi della parte femminile anche del Carnevale di Urbiano, come di tutte quelle celebrazioni dell’1 e del 2 febbraio che vedono la Dea Orsa come manifesta o sotterranea protagonista. Giunta alla conclusione di questa ricerca, consapevole di aver portato all’attenzione un materiale vastissimo che solo in parte sono riuscita a sintetizzare in queste pagine, vorrei soffermarmi sul messaggio attuale, sciamanico ed ecologico di cui la Grande Orsa è portatrice. La voce della Madre Terra ha parlato a noi esseri umani attraverso l’Orsa per migliaia di anni, impartendo i suoi insegnamenti di Vita-Morte-Rinascita, di guarigione della nostra anima, di orientamento in armonia con i cicli del cosmo.
L’Orsa è tornata a parlarci in questo tempo, nello spirito puro e innocente dei boschi e degli animali che piano piano ripopolano i territori, nelle montagne che stanno perdendo i loro ghiacciai, nelle isole di plastica che vagano negli oceani.
Orse e orsi arrivano nei nostri sogni, nei viaggi sciamanici, nelle storie che inventiamo per i bambini e le bambine, nelle manifestazioni ecologiche, ma anche vicino alle nostre case, se abitiamo in zone vicino alle montagne.
Possiamo di nuovo continuare a percepirci come esseri separati dall’ambiente naturale e cercare un modo per combatterli e allontanarli, oppure imparare a convivere con loro, così come sta succedendo in Abruzzo, grazie a un’accurata strategia del Parco Nazionale. Attuare questa convivenza non significa semplicemente agire per tutelare gli animali, ma salvare la nostra stessa natura selvaggia che abbiamo schiacciato e dimenticato nelle parti più remote della nostra memoria. Significa che possiamo, con un atto di volontà, tornare a vedere la stella dentro la mela.
Cambiare la prospettiva è il frutto di un’intelligenza complessa che impara a muoversi nelle molteplici forme di realtà, guidata anche dal cuore e dall’amore per la Madre Terra. Questa per me è la via della Dea, una via di ricerca e guarigione del mondo. E io so che la guarigione si sta compiendo, così ha detto la «mia» Orsa.
Testo © Morena Luciani Russo.
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Immagini da Pinterest, tranne la foto di Fora l’Ours che è stata scattata dall’autrice.
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BIBLIOGRAFIA E SITI WEB
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