Le Donne e l’Economia del Dono

Estratto dall’introduzione a Le Donne e l’Economia del Dono

Una visione radicalmente diversa del mondo è possibile

di Genevieve Vaughan

Traduzione Luisa Vicinelli

 

Genevieve Vaughan

Genevieve Vaughan

 

 

 

Penso che parlando di un’economia del dono, noi stiamo nominando qualcosa che stiamo già facendo, ma che viene celata sotto una miriade di altri nomi e che è tanto irrisa quanto fraintesa. E’ importante cominciare a far circolare il suo nome e a fare conoscere la sua presenza in molti e diversi ambiti della vita. E’ importante ricreare anche le connessioni, che sono state recise, tra l’economia del dono, le donne e le economie delle popolazioni indigene, e proporre il paradigma del dono come un approccio che ci può aiutare a liberarci dalla visione di mercato che sta distruggendo la vita sul nostro bel pianeta…

 

Un’analisi che colleghi i diversi livelli e aree di vita sulla base di un paradigma alternativo, può suggerirci che molto di quello che il patriarcato ha messo in gioco è artificioso e non necessario. Un paradigma alternativo che veda le donne come modello dell’umano e il patriarcato come fondato sul rigetto da parte dei maschi della loro propria umanità (femminile) può fornire le basi di un programma politico che superi le divisioni del presente. Una cornice del tutto diversa può rendere possibili strategie differenti ed eliminare alcune soluzioni che potrebbero riportarci tutti (donne e uomini) sotto il controllo patriarcale in forme diverse.

 

Per fare una tale analisi noi distinguiamo fondamentalmente tra il donare da un lato e lo scambio dall’altro come due logiche distinte. Nella logica dello scambio, un bene è dato per ricevere in cambio il suo equivalente. Viene fatta un’equivalenza di valore, una quantificazione e una misurazione. Nel dono, uno dà per soddisfare il bisogno di un altro e la creatività nell’usare i doni di chi riceve è importante quanto la creatività del donatore. L’interazione del dono è transitiva e il prodotto passa da una persona all’altra creando una relazione di inclusione fra chi dona e chi riceve tramite quello che viene dato. Il donare implica il valore dell’altro, mentre la trans-azione dello scambio, fatta per soddisfare i propri bisogni, è autoriflettente e implica solo il proprio, di valore. Donare ha un aspetto più qualitativo che quantitativo, è orientato verso gli altri piuttosto che verso il proprio ego, è includente piuttosto che escludente. Il dono può essere usato per diversi scopi. La sua capacità di creare relazioni fa nascere la comunità, mentre lo scambio è un’interazione tra avversari e crea individui separati centrati su se stessi.

 

La nostra società ha basato la distribuzione sullo scambio ed è l’ideologia dello scambio che permea il nostro pensiero. Per esempio, noi ci consideriamo “capitale” umano, scegliamo il compagno al “mercato del matrimonio”, basiamo la giustizia sul far “pagare per i crimini”, giustifichiamo le guerre con la “rappresaglia” (fargliela pagare) e barcolliamo sull’orlo degli “scambi” nucleari”. In ogni caso le culture indigene e matriarcali, che si basano di più sul dono, hanno avuto e hanno una visione del mondo molto diversa che onora e sostiene la vita, fa nascere comunità più durature e promuove l’abbondanza per tutti.

 

Introduzione all’economia del dono 

 

Gli americani, prima della colonizzazione, erano 300 milioni, molte più persone di quante ce ne fossero nell’intera Europa a quel tempo (Mann, C, 2005)[2]. Sebbene gli europei tendessero a interpretare le economie indigene alla luce della propria mentalità basata sullo scambio, le economie del dono erano ancora diffuse quando arrivarono i colonizzatori. La leadership delle donne era importante in queste cosiddette economie “pre”mercato. Per esempio la confederazione degli Irochesi, dove donne agricoltrici controllavano la produzione e la distribuzione dei prodotti agricoli, praticava il dono nei gruppi locali e partecipava ai circuiti di doni tra i gruppi anche a grandi distanze (Mann, B, 2000.) Sebbene il wampum, fatto con le conchiglie, fosse stato visto dagli europei come una forma di valuta, i ricercatori indigeni come Barbara Mann (1995) non lo considerano affatto una moneta, bensì una forma di scrittura fatta con le perline che si basava sulla relazione metaforica tra la Terra e il Cielo. Le economie del dono sono tipiche dei matriarcati. In Africa e in Asia, così come nelle Americhe, esistevano vari tipi di società pacifiche basate sulle donne che continuano a esistere anche oggi (Goettner-Abendroth 1980, 1991, 2000; Sanday 1981, 1998, 2002).

 

La mia ipotesi è che non solo c’erano e ci sono società che funzionano in base alla distribuzione diretta dei beni per soddisfare i bisogni, economie del dono non mercantili, ma che la logica che sottende questo tipo di economia è la logica umana fondamentale, che è stata surclassata e resa invisibile dalla logica dell’economia di mercato. Nonostante questa cancellazione, il dono continua a permeare la vita umana in molti modi, anche se non visto e nonostante sia stato degradato, ingiuriato, frainteso e nascosto. La visione del mondo delle popolazioni delle Americhe era davvero radicalmente diversa da quella degli europei, così tanto che i due gruppi facevano fatica a capirsi. Gli europei, per lo più, male interpretavano ciò che i nativi dicevano e facevano, la loro spiritualità, i loro usi, le loro intenzioni.[3] La colonizzazione europea distrusse le civiltà delle Americhe perché i meccanismi del capitalismo patriarcale, che si erano sviluppati in Europa nel corso dei secoli precedenti, avevano bisogno di doni gratuiti che potessero essere trasformati in capitale. Noi stiamo vivendo le conseguenze di questa invasione basata sul genocidio, ma ciò non deve renderci ciechi di fronte al fatto che prima della colonizzazione esistevano modi pacifici e alternativi di organizzare l’economia e la vita sociale. Non sto suggerendo di imitare, adesso e tout-court, queste società. Però credo che se riuscissimo a identificare la logica del donare e del ricevere e vederla lì dove continua a esistere all’interno delle nostre stesse società, potremmo riapplicarla nel presente per liberare una visione del mondo che le corrisponda, e creare anche nuove/vecchie modalità di interazione pacifica.

 

Nello stesso momento in cui si inizia a vedere la luce di un’alternativa, la si deve usare per illuminare il problema. Vale a dire che dobbiamo vedere come il patriarcato e il capitalismo operino uniti per dominare e snaturare la distribuzione diretta dei beni verso i bisogni e come i doni si muovano verso un sistema di scambio artificiale, che non dona, e verso il possesso di pochi. Il punto di vista radicalmente diverso di cui abbiamo bisogno adesso non è quello dell’economia del dono così come è praticata solo dalle popolazioni indigene, ma un punto di vista sul mondo che deriva dall’economia del dono e la riconosce sia nelle società indigene che all’interno del capitalismo patriarcale, sebbene nascosta e fraintesa; si potrebbe perfino sostenere che si trova dentro ogni essere umano.

 

Nel 1484, fu pubblicata la Bolla Papale di Innocenzo VIII, che segnava l’inizio dell’Inquisizione, durante la quale per un periodo di 250 anni, furono uccise, secondo alcune stime, 9.000.000 di streghe, in maggior parte donne. Forse non è casuale che questi due genocidi, quello dei nativi americani e quello delle donne europee, si siano verificati simultaneamente (vedi Mies 1998 [1986]). Trovando la connessione tra la misoginia europea e l’oppressione americana ed europea delle popolazioni indigene, forse possiamo identificare il legame che può permetterci di creare una piattaforma comune cruciale per il cambiamento sociale.

 

Una delle ragioni per cui attualmente non esiste una piattaforma comune e collettiva è che gli approcci che sono alternativi allo status quo sembrano avere a che fare unicamente con l’interesse, le propensioni e la moralità individuali. Per le femministe, la critica all’essenzialismo impedisce la costruzione di una simile piattaforma sulla base di un’identità comune; tuttavia è curioso come, se l’identità non è la stessa, i problemi però lo siano e i legami tra individui e gruppi nascano sulla base di risposte e resistenze all’oppressione condivise.

 

Infatti, se osserviamo come l’identità si forma attraverso categorie in opposizione e come l’identità collettiva funziona nella “democrazia” in quanto competizione di gruppi tenuti insieme dall’interesse personale, possiamo vedere la formazione dei gruppi identitari come un ulteriore modo di dividere e conquistare il potere su una collettività più allargata. Però, forse, non è partendo dall’identità che possiamo provare a tirar fuori una prospettiva comune, ma dovremmo piuttosto disegnare una simile prospettiva su una pratica economica, il dono, che ovunque le donne (e gli uomini e le culture non patriarcali) mettono in campo, spesso senza rendersene conto. Questa pratica è positiva, ma all’apparenza rende coloro che la mettono in atto vulnerabili all’oppressione delle economie di mercato. Sarebbe importante non solo unirsi sporadicamente su certi temi per opporsi all’oppressione nelle sue varie manifestazioni, ma anche unirsi positivamente e a lungo termine sulla base dell’economia alternativa nascosta e della sua prospettiva. Nel capitalismo patriarcale la pratica dell’economia del dono è stata assegnata principalmente alle donne, sebbene sia stata specificatamente screditata sotto il nome di “funzione materna”, “nutrimento” e “lavoro di cura”. Questa assegnazione dovrebbe come minimo qualificare le donne come leader (non patriarcali) del movimento per l’economia del dono.