In tempo di Samhain e Halloween, parlare di lei, può aiutarci a capire molto del simbolismo di questo periodo e del perché le “streghe” sono spesso delle vecchie ossute che vivono ai margini di boschi o vicino a grotte e pietre sacre.
La Madre delle Ossa è una delle più antiche immagini sacre d’Europa.
Nelle culture neolitiche, la morte non era separata dalla vita: era parte del suo ritmo.
Allora i morti venivano seppelliti sotto il pavimento di casa, tra le stuoie e i focolari, così che restassero accanto ai vivi.
Più tardi, le loro ossa venivano raccolte e deposte in camere sotterranee scavate nella roccia — veri grembi di pietra dove antenati e antenate continuavano a condividere la casa della Terra.
Le ossa — umane, animali, ancestrali — erano considerate portatrici di memoria, energia e rinascita.
I morti erano parte della comunità, parte del respiro stesso della vita.
Nel cuore dell’Europa neolitica, tra il 7000 e il 3000 a.C., le comunità agricole veneravano una forza che univa morte e vita:
la Madre delle Ossa, principio della trasformazione.
Non era una divinità unica, ma una presenza diffusa — percepibile nei rituali, nei simboli, nei corpi deposti nelle tombe.
Per quelle genti, le ossa erano sacre: non resti, ma radici.
Erano la traccia visibile dell’eterno ciclo della vita.
Nelle tombe e nei santuari — da Çatalhöyük ai Balcani — compaiono immagini di uccelli necrofagi, avvoltoi e corvi.
Animali che liberano la carne e lasciano emergere le ossa, simbolo della Madre che purifica e restituisce.
Marija Gimbutas li chiamò “dee della rinascita”.
La Madre delle Ossa era la custode del ciclo. Colei che conosceva il potere del ritorno, che sapeva che dalla decomposizione giungeva la rinascita.
Ogni tomba era un grembo, ogni osso un seme.
Col passare dei millenni, quell’antica visione sopravvisse nei miti e nelle fiabe.
Nell’Europa orientale troviamo la Baba Yaga, detta “kostyanaya noga”, la gamba d’osso, colei che custodisce la soglia tra i mondi.
Molto vicine a lei, Frau Holle, Perchta e la nostra Befana: madri ossute, collegate agli uccelli che puliscono le ossa — eredi delle dee del Neolitico.
Nel Nord, la Cailleach celtica raccoglie le ossa degli animali morti in inverno e col suo canto li fa rinascere a primavera.
Allo stesso modo figure come Sedna tra gli Inuit, dal fondo del mare ricrea la carne dalle ossa degli animali morti, mentre nelle tradizioni mesoamericane la Loba/ La Huesera, raccoglie ossa nel deserto e canta la ri-vivificazione.
Tutte ci ricordano lo stesso mistero:
il potere delle ossa e la vita che ritorna attraverso ciò che resta.
Un archetipo universale di rigenerazione e continuità.
La Madre delle Ossa è severa.
Il suo corpo è nudo, rigido, freddo.
Non nutre, ma con compassione custodisce il nostro spirito tra le ere.
Lei è Colei che sa,
che vive dall’inizio dell’inizio dei tempi,
che riassorbe ciò che è giunto al termine
e lo rigenera in nuova forma.
Ogni novembre ritorna,
e ci ricorda che antenate e antenati non sono passati:
sono presenze che abitano la soglia.
Nel buio, tra le pietre, sotto gli alberi più vecchi, ci sussurra che le nostre ossa sono testimoni del tempo, memoria viva della terra da cui proveniamo.
Alcune notti fa la Madre delle Ossa mi è giunta in sogno,
e da allora sto lavorando a un nuovo dipinto dedicato a Lei —
Signora dei Margini e Guardiana del Mondo di Sotto.
In questi giorni in cui si apre il cancello al Tempo delle Antenate e degli Antenati,
mentre dipingo, ricerco e ricreo il sogno,
voglio condividere con voi la sua voce:
quella che nasce dal silenzio,
che ricorda,
che rigenera.
Morena Luciani Russo, dalle montagne della Val di Susa
L’immagine in evidenza è ispirata alla statuina in osso della cultura Karanovo VI, presso Stara Zagora (Bulgaria), V millennio Prima dell’Era Comune.