Discorso di Apertura di Alessandro Bracciali

 

Alessandro Bracciali

Alessandro Bracciali

Buongiorno,

prima di iniziare vorrei ringraziare tutti e tutte per la vostra presenza qui, oggi.

Grazie alle donne e agli uomini che generosamente hanno accettato di condividere con noi quest’iniziativa e che porteranno la loro esperienza e conoscenza nei seminari e nelle conferenze di questi tre giorni.

E grazie di cuore alle donne e agli uomini che sono qui per provare a vivere e sperimentare insieme una diversa visione dello “stare al mondo”.

Il titolo di questo convegno appare piuttosto esplicito: RIEDUCARSI ALLA PARTNERSHIP!

E credo che se siete qui accettando che sia possibile forse rieducarci, allora è possibile carezzare la speranza che sia per “agire” proprio questa connessione che chiamiamo partnership…. quindi grazie davvero.

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Morena ha parlato del cammino che ci ha portati a voler realizzare insieme questo progetto, della scintilla che ha acceso in noi il desiderio di tracciare un percorso che si allontani radicalmente dai sentieri scavati da secoli di paradigmi culturali fondati sulla prevaricazione, il sacrificio, il peccato, la gerarchia e il dominio.

Un percorso rivolto, a partire da noi stessi, a coloro che subiscono nella maniera più indecente i condizionamenti e le restrizioni imposte dal modello in cui siamo immersi:

alle bambine e ai bambini.

Un cammino intrapreso per cercare di sottrarre il più possibile i bambini da quella rigidità di ruoli cui sono sottoposti e a cui ovviamente siamo stati tutti e tutte sottoposti; partire dall’ infanzia quindi e rielaborare assieme, attraverso una diversa proposta di simbolismi, personaggi, fiabe e narrazioni mitologiche, quella trama sottile che un tempo (e per alcuni popoli ancor oggi) era alla base di un’educazione gilanica.

Vale a dire un’educazione intessuta su quei valori che siamo spesso costretti fin da piccoli a soffocare:

l’istinto d’amore e rispetto verso la natura nostra madre, quell’ innata tendenza all’ empatia verso gli altri esseri viventi, la possibilità e ancora prima la capacità di far emergere in noi la nostra vera indole.

In una frase, “Rieducarci alla partnership!”

 

Diversi anni fa una donna mi mise tra le mani il libro “Il linguaggio della Dea” di Marija Gimbutas, dicendomi questa frase:

“forse, grazie a questo libro voi uomini potreste recuperare la parte più intima di voi, quella parte che vi viene non solo negata ma che vi insegnano a svilire e deridere”.

 

Il Linguaggio della Dea di Marjia Gimbutas

Il Linguaggio della Dea di Marjia Gimbutas

 

Ecco…la lettura di un libro come quello, e poi di altri, frutto della ricerca di studiose e studiosi della verità storica e quindi anche archetipica oscurata e assopita per secoli, è stato per me, mi viene da dire, un “CAMMINO DI LIBERAZIONE”.

 

Un cammino di liberazione apprendere che un tempo uomini e donne condividevano una visione mutuale, dove alla base dell’agire umano non c’era necessariamente la pulsione ad accaparrare e a sfruttare, ma dove anzi esisteva un sentire condiviso di comunità, di appartenenza ad un principio unificatore che non portava all’ isolamento, ma piuttosto consentiva a tutti e tutte di abbracciare e nutrire il proprio innato desiderio di sentirsi connessi.

Un immane sollievo scoprire finalmente che la violenza che ci insegnano essere una spinta naturale e inevitabile, e quindi legittima, sia invece il frutto di un lungo lavoro di socializzazione.

Credo che per un uomo, la rilettura in chiave realistica del passato antico del genere umano da una parte e il porre l’attenzione su quelle popolazioni che ancora oggi vivono seguendo diversi schemi di relazione dall’altra, sia la spinta più potente per consentirgli di sciogliere i vincoli che lo comprimono e per aiutarlo a scrollarsi di dosso quell’identità sociale che ci vuole sempre forti e risoluti.

 

Quello che voglio dire, è che partire esattamente dalla consapevolezza di come nella storia la figura femminile sia stata sacrificata e repressa e ri-scoprire come essa sia invece stata al centro della vita sociale, spirituale, economica e osservare come alcune popolazioni abbiano ancora un sistema sociale fondato sulla reale cooperazione tra i sessi, permette a noi uomini di vedere con maggiore lucidità tutto quello cui abbiamo abdicato e che abbiamo perduto nel momento in cui abbiamo sposato dentro di noi (magari inconsapevolmente) il modello patriarcale.

Ci permette di mettere a fuoco meglio ciò che questa cultura tenta di stigmatizzare in noi e che è invece ancora presente nelle donne: parlo del senso di sacralità e responsabilità per la vita in antitesi a quello che Mary Daly chiamava istinto necrofilo, il loro coraggioso senso del cambiamento, della trasformazione, mentre noi tendiamo a cristallizzare ferocemente tutto (in primis le relazioni), la loro indiscutibile capacità di usare il potere come responsabilità comune e non come strumento di comando e manifestazione del proprio ego.

Ed è proprio guardando le donne e le culture odierne dove queste non sono relegate in un angolo buio che possiamo ricordarci che un tempo, in qualche modo, certe attitudini erano anche dentro di noi e avere il coraggio di ricominciare a tornare verso di loro, invece di allontanarci sempre di più illudendoci che l’uomo è tutt’altro.

 

Ma io non sono qui per fare una critica nuda e cruda alla componente maschile…..

anzi,

ma per condividere l’idea che un processo di riavvicinamento alla comunità femminile può aiutare noi uomini a recuperare parti di noi legate a quella sfera emotiva e viscerale che siamo stati chiamati a sacrificare in nome della nostra identità sociale di uomini.

Se le donne infatti, subiscono da tempi lontanissimi un processo di disgregazione, anche gli uomini sono prigionieri e vittime del conformismo sociale che il modello richiede.

I, chiamiamoli, “privilegi maschili” sono per me delle trappole che hanno la loro contropartita nello scontro permanente, dove i bambini e poi uomini imparano presto ad uniformarsi ad uno schema che genera e richiede incessantemente il manifestarsi della forza e a soffocare la propria individualità e le proprie emozioni e inclinazioni.

 

E questo carico che abbiamo sulle spalle, questo cercare costantemente la conferma da parte degli altri uomini di essere conformi a quel modello gerarchico che conferendo potere impone valori e crea sempre vincitori e vinti, beh, …questo carico ci sta schiacciando.

Ogni nostro atteggiamento che esce da questi insegnamenti (pensiamo, non so, alla frase “non piangere, sei un ometto…..oppure “ma a che ti serve piangere”), ogni (naturalissimo) tentativo di esprimere il dolore, la tristezza, la paura, uno stato d’animo di fragilità, provoca in noi un senso di inadeguatezza, smarrimento e senso di colpa.

Non c’è accoglimento per noi maschi della componente legata alla nostra affettività perché ci viene chiesto, attraverso il dissenso e il dileggio a tutte le nostre manifestazioni di “sentimento”, di rimandare in dentro ogni flusso emotivo, che viene tacciato come segno di debolezza, vulnerabilità e non virilità.

Il mondo che noi uomini abbiamo plasmato così com’è adesso, prima di tutto castra la nostra possibilità di poter vivere un’identità personale e davvero individuale.

Il primo gesto di questo sistema sociale nei nostri confronti, che ci piaccia o no ammetterlo,

è un atto di automutilazione.

E questo si riflette anche sul nostro modo di essere padri, tanto che spesso ci sentiamo a disagio nel mostrare la parte più affettuosa di noi coi nostri bambini e bambine e si riflette nella nostra scarsa capacità di relazionarci con sincerità e autenticità fra uomini, troppo spaventati dal mostrare possibili fragilità emotive; (basta pensare al modo superficiale e ipocrita in cui noi uomini parliamo del sesso).

Su questo fronte abbiamo moltissimo, secondo me, da apprendere dalle culture di pace attualmente esistenti, soprattutto osservando come lì la componente maschile riesca ad esprimere le proprie virtù in un modo di gran lunga più svincolato dal nostro stereotipo della spossante mascolinità. Possiamo osservare come in quelle comunità, il lasciare andare quel “senso di possesso” che noi stendiamo sulle persone come sulle cose, consenta a quegli uomini di esprimere meglio se stessi, liberi dalla paura e dall’ansia che inevitabilmente nascono da questo severo processo di saccheggio della propria personalità.

 

Rispetto a quest’ultimo elemento del “possedere”, un altro aspetto, a mio parere, sul quale noi uomini dobbiamo iniziare o continuare seriamente a confrontarci e dove, anche qui, può esserci di sostegno guardare con maggiore attenzione e rispetto alla visione femminile, è proprio che questo modello, di cui molti vanno fieri, trasmette l’idea che l’uomo possa e anzi “debba“ controllare ogni cosa.

Ci induce a considerare il progresso come manifestazione del potere umano che è in grado di piegare ogni cosa alla propria volontà

……e ci conquista con l’idea che proprio quest’attitudine sia la massima espressione dell’ingegno umano!

 

Se non si cambia questo approccio che ci fa sentire baricentro del mondo, non si avrà mai neanche un rapporto equilibrato fra i sessi.

La stessa violenza maschile sulle donne può essere tra l’altro, una trasposizione di questo rapporto di dominio sulla natura.

La donna ha in sé elementi che la pongono in connessione con la natura e il suo scorrere infinito in modo più evidente di come accada agli uomini (penso ad esempio alla ciclicità del loro ciclo mestruale) e questo connota una sua indipendenza e autodeterminazione; ed è anche qui che secondo me, nasce la violenza dell’uomo:

dal fatto che dopo essere stato cresciuto con l’idea di avere tutto sotto controllo, a quel punto risulta molto difficile accettare questa dimensione di autonomia primordiale della donna.

Noi uomini, per essere forti (non in senso machistico) ma emotivamente, dobbiamo sapere cos’e’ il patriarcato e acquisire consapevolezza di cosa ci intossica e di cosa ci viene tolto fin dall’infanzia!

 

Ci stiamo giocando la possibilità di essere liberi e autentici….., di sviluppare tutti i tratti e le potenzialità innate che abbiamo.

Purtroppo, senza un comune lavoro fra uomini e donne di volontà, di istituzioni, educatrici ed educatori e di tutti e tutte coloro che veicolano nelle varie sedi la conoscenza, la risposta a questo malessere e alla paura che scaturisce dall’avvertire che la via patriarcale si sta smarrendo (e lo avvertiamo proprio perché i suoi danni sono ormai evidenti per noi maschi), la risposta, dicevo, sarà l’acuirsi dei conflitti e della violenza contro le donne e fra noi stessi.

 

All’opposto, dobbiamo lavorare intensamente per intraprendere una strada che conduca l’uomo a riconoscere che per il suo bene (otre che degli altri/e) è auspicabile impegnarsi per relazioni umane improntate alla partnership.

Dovremmo insegnare ai nostri bambini e bambine che sono parte di un una collettività in grado di cooperare, non spegnere e umiliare, ma accompagnare la loro naturale tendenza all’empatia sociale.

Il progetto di cui parlavo all’inizio di questo discorso è anche questo: cercare di eludere la possibilità che vengano a trovarsi un giorno inevitabilmente racchiusi e rinchiusi nei loro labirinti di paure che non hanno avuto modo di essere espresse, rifuggendo il confronto attraverso il cinismo, esiliando il loro sentire autentico sostituendolo con un contegno di spossante virilità……

Voglio terminare questo discorso ribadendo che abbracciare quindi una visione materna del mondo non significa, a mio avviso, negare la propria natura maschile, ma anzi al contrario, riappropriarsi della propria libertà di esistere.

Non è un disconoscimento, di cui siamo terrorizzati, ma un cammino di emancipazione verso noi stessi!

Nell’arco del nostro cammino evolutivo siamo ad un importante bivio e noi uomini dobbiamo avere il coraggio, l’umiltà, la saggezza di tornare indietro sui nostri passi per riabbracciare una visione esistenziale che ci ponga come esseri viventi consci che non è il nostro destino rispondere solo alle logiche del dominio; che una prospettiva di mutualità è l’unica reale scelta che possiamo fare per tornare ad essere in equilibrio con gli altri e noi stessi.

…..

Grazie