Bambine e Bambini, Risorsa di Pace
di Mario Bolognese, scrittore, formatore e studioso dei simboli e delle risorse immaginative e creative dei bambini e delle bambine. Il suo approccio, che trae linfa dall’antropologia del sacro, si basa sui miti e riti di iniziazione dei popoli soprattutto in riferimento alla dimensione della natura (alberi, elementi, animali) e della fiaba. La caratteristica del suo metodo di lavoro e ricerca è il “genere” e la metaforizzazione del linguaggio.
Tra le sue pubblicazioni ricordiamo I’m sorry baby, Edizioni Osiride 1995, Come educare con il mito. Per una cultura non sessista, Edizioni Sonda 1997, C’era una volta, crescere con i miti, Edizioni La Meridiana 2000, La veggente di Ofis.Una cosmica danza per la pace Edizioni Ananke 2011.
Il significato e la dimensione dell’autonoma e originale sacralità e religiosità di bambine e bambini è un vero e proprio tesoro, come nelle fiabe.
Mi rendo perfettamente conto che pochi argomenti oggi sono usurati dalla retorica o strumentalizzati come l’infanzia, ma accetto questo rischio perchè ritengo questo tema centrale per una cultura ecumenica. Come nelle fiabe mi incammino dunque alla ricerca del tesoro…
La via per arrivarci è un sentiero del bosco, ma anche un arcobaleno di acqua, una guizzante liana di fuoco o un’ala di vento…
Con queste metafore vorrei suggerire che in questo percorso iniziatico la logica e la razionalità del
codice e linguaggio diurno ,(pensiero esecutivo, lineare) ,appaiono povere, del tutto insufficienti da
da solequando pretendono di svelare solo cartesianamente il senso profondo delle cose. L’umanità diventerà veramente saggia quando sarà la poesia a commentare la prosa e non viceversa…
Torniamo all’infanzia che in questo contesto desidera presentarsi come una vera e propria gnosi: arricchiscono l’albero di questa conoscenza la ragione, la filosofia, l’argomentare estraendo ma è la poesia- il quinto chakra, quello del cuore per l’induismo- che ne è la risorsa radicale e la vera linfa ermeneutica e conoscitiva.
E’ dunque la poesia- la poesia universale, “popolare”, del cuore- che può socchiudere questa soglia guidandoci, tenera e profonda “Bimba Sofia”, in questo necessario viaggio verso l’infanzia come “ eterna culla del senso”.
I ricordi d’infanzia si ravvivano quando si raggiunge la metà della vita…”, ci ricorda Gerard de Nerval, ma penso alluda a una dolce maturazione dell’anima, più che a un’età cronologica.
“ L’infanzia non è una cosa che muore in noi e si disseca dopo che ha compiuto il suo ciclo. E’ il più vivo dei tesori, e continua ad arricchirsi a nostra insaputa…Guai a chi non può ricordarsi della propria infanzia. Riprenderla in se stessi come un corpo nel proprio corpo, come un sangue nel vecchio sangue: uno è morto dopo che essa lo ha abbandonato” ( 1 ). E questo “lavoro”, come dirò più avanti citando Bachelard , non può essere fatto senza la creatività immaginativa…
Nel “mezzo del cammin di nostra vita” si è quando si scopre, senza perdere né il sorriso né il gioco, che la realtà è un “velo”, una dolce e potente e necessaria illusione…
Allora si “gioca” con passione, responsabilità, per la giustizia, per la pace, per la dignità di ogni essere umano, ma con il cuore e gli occhi aperti, conoscendo e agendo con e attraverso le cose con quel modello olistico che è il “pensiero-girotondo” delle bambine e dei bambini di tutte le età…
E questo “pensiero-bambino/a” è anche terapeutico, con e soprattutto oltre la simbolica psicoanalitica, perchè, accettando la risorsa “religiosa” della poesia del cuore, ci “cura” con ma anche oltre e prima della cronologia storica dei nostri drammi infantili…
“Lasciamo alla psicoanalisi”, dice Gaston Bachelard nella sua “ Poetica della Reverie”, “ il compito di guarire le infanzie mal vissute, di guarire le sofferenze infantili di un’infanzia indurita, che opprime la psiche di tanti adulti. E’ aperta una strada a una poetico-analisi, che dovrebbe aiutarci a ricostruire in noi l’essere delle soltudini liberatrici. La poetico-analisi deve restituirci tutti i privilegi dell’immaginazione. La memoria è un campo di rovine psicologiche, un rigattiere di ricordi. Tutta la nostra infanzia deve essere riimmaginata”. ( 2 )
Le poesie e i brani poetici e religiosi che appaiono in questo scritto- unite alle immagini vive di chi legge- non sono dunque “commenti” ma sostanza. Anzi l’ideale sarebbe che tutto questo intervento venisse scritto,magari a più mani, in poesia. In attesa del progressivo abbandono della supremazia del linguaggio cartesiano, inadeguato quando si tratta soprattutto della ricerca di dimensioni valoriali universali, chiedo dunque aiuto al cuore poetico delle lettrici e dei lettori.
Solo così- nella condivisione del rischio di questo viaggio- scopriremo dentro di noi, senza trovarlo da nessuna parte- il rimosso sorriso infantile di un Dio, femminile e non solo maschile, bambino e bambina, troppo a lungo verticalizzato e addobbato solo come un patriarca…
“ Lo scienziato dei grandi
consultò i suoi libri
e il Buon Dio degli adulti
e disse al bambino:
“ Ti ci vuole tanto tempo
a imparare
per questo così a lungo
piccolo devi restare”
Ma il bambino
che aveva la scienza
di un Buon Dio che è di tutti
così gli sorrise:
“ Certo, hai ragione a metà
noi piccoli a lungo si resta
perchè vi ci vuole del tempo
per imparare da noi
a cambiare il cuore e la testa”. ( 3 )
Betlemme: le parole della notte…
“ Con le evidenze del pensiero, con quelle dell’azione e della ragione, è ciò che noi chiamiamo cultura, civiltà in occidente.Tutto ciò ci fa grande violenza e ci rende violenti. L’uomo occidentale non sa fare posto al regime notturno…La nostra cultura è diurna. E’ con il nostro spirito che gestiamo la nostra salute, il nostro nutrimento, le nostre relazioni con gli altri, ma manchiamo di anima. Vi è un modo notturno di amare e noi conosciamo solo un modo diurno. Abbiamo completamente svuotato tutti questi spazi che rientrano nel regime notturno e nella relativa maniera di mangiare, nutrirsi, amare, adorare…Sempre più gli antropologi sociali e culturali che studiano il compito che stiamo considerando, sottolineano che questa educazione del regime notturno della condizione umana è indispensabile”. ( 4 )
I valori dell’interreligiosità infantile sono impensabili senza la “cultura” della notte, e cioè senza la poesia, e l’eros della luna…Naturalmente penso sia abbastanza chiaro che per “ regime notturno” ( 5 ) qui non si intende solo o prevalentemente la “notte fisica” , quella del ritmo circadiano, ma una vibrazione o tonalità particolare della nostra psiche, ovviamente anche di giorno.
Ma le bambine e i bambini vengono ben presto sollecitati al gioco e al pensiero diurno, che pian piano prende il sopravvento ed egemonizza così tutta la strategia conoscitiva, anche in campo teologico. Uno dei motivi-tabù che impediscono una educazione e una pedagogia “anche” notturne è lo scuro “baubau” della notte, il pericolo, la paura in agguato tra le ombre che si allargano a macchia. Ma la famosa “paura del buio” del bambino- che è anche la nostra paura quando le certezze ci abbandonano…- è spesso una nostra invenzione, o meglio, una nostra proiezione:
“Amava
una piccola bimba
vestirsi di buio
e profumarsi di silenzio
tutte le sere
dopo le preghiere.
E poi si godeva gli abbracci
delle due amiche
la mamma e la notte…
Si inventò poi
per gentilezza
paura del buio e tristezza
per non lasciar solo il papà
con la paura della sua paura”. ( 6 )
La notte non permette che i pensieri, le intuizioni, si distanzino troppo dai sentimenti, dalla solidarietà con il creato tutto, dalla “compassione” come pratica di amorosa intimità con ogni forma di vita, visibile o invisibile.
Ma naturalmente la notte è anche severa con chi è proiettato solo fuori: gli ingigantisce le ombre, glele rimanda come specchio iniziatico che poi si popola di incubi e mostri. I nostri films dell’orrore rivelano, in tutta la loro brutalità anche estetica, questa demonizzazione della notte.
Dall’accensione rituale di una candela o di una lampada siamo passati al tasto magico che crea subito la luce: la parola d’ordine- tutto sotto controllo- è vedere bene, sentire bene, avere sempre una mappa precisa a disposizione. E il tutto istantaneamente, perchè ogni attesa (figlia della notte) è criminalizzata, bandita dal nostro maniacale “ fast food” interiore.
Il pensiero-fiaba , che ovviamente penso dovrebbe entrare a far parte del dialogo interreligioso, è un pensiero che ha accettato di “perdersi” nelle eterne metafore della notte iniziatica ( il bosco, il deserto, le profondità della terra, gli abissi del mare ecc.).
Invece il nostro pensiero nutrito da millenni, come indo-europei, dal culto dell’azione, ( 7 ) s’è strutturato sul paradigma diurno della chiarezza: tutto è o deve essere molto riconoscibile, anche e sopprattutto il nostro arcipelago dove non deve esserci l’ “isola del dubbio”…
Il pensiero notturno invece, lunisolare, (perchè la notte non rinnega , attraverso la luna, la luce solare), ha un ritmo, una sostanza, una ciclicità, una modularità musicale, proprio come i chiaroscuri del plenilunio.
Il pensiero-azione, che non tollera il “femminile” della gestazione interiore, cerca, si aggrappa subito al famoso “concreto”… Come se avesse paura di cadere in un “vortice del senso”, di rimanere senza la zattera più o meno immediata di un progetto, di una iniziativa o mappa riconoscibile, pragmatica.
Ci siamo dimenticati, in questa frenesia della chiarezza, dell’azione e del programma, che le intuizioni metafische, filosofiche ed anche etico-politiche più elevate e nello stesso tempo più efficaci sono frutto di silenzio, meditazione e di un dialogo poetico con il cuore.
La presenza di bambine e di bambini in un incontro, seminario o gruppo di lavoro sarebbe una vera rivoluzione, anche epistemologica, in questo senso…Saremmo costretti/e a rivisitare le nostre stesse radici e a pulire, scrostare, rivisitare le nostre “scalette” e parole e questo non potrebbe farci che bene…Come nel famoso episodio di San Francesco, stupendamente narrato da Giotto, dovremmo spogliarci e rivestirci con più semplicità, con “parole” più vicine al cuore dei bambini e dunque anche a quelle del mondo e dei mondi…
Anche il dialogo interreligioso e tra culture diverse, essendo figlio della stessa cultura, è ancora troppo “diurno”. Non ha ancora trovato secondo me, pur nelle sue indubbie positività, il “cuore” dell’incontro perchè non l’ha cercato con il cuore…
L’indicazione, dolcemente ma volutamente provocatoria che suggerisco- vicina al mondo dell’infanzia- è che i relatori – e anche nei gruppi di lavoro e nelle relazioni tra persone parlino (anche!) con il linguaggio della fiaba e della poesia.
Se una cosa, anche concettualmente, è vera e profonda sicuramente la si può esprimere anche ( e meglio!) con un linguaggio metaforizzato. Certo, questo comporta un’ “alchimia di spogliazione e purificazione” che può apparentemente togliere autorevolezza, potere e…vanità ma, per la pace e il dialogo, certamente ne vale la pena…
Naturalmente il procedimento e la logica discorsiva può e deve intervenire- la “notte” è molto meno assolutista e dogmatica del giorno, anche perchè deve soavemente convivere con penombre e aloni…- ma senza quella sicumera, quell’onnipotenza e quell’annoiante serietà che contraddistingue molti incontri della nostra cultura “adulta” soprattutto maschile.
Ma la semantica della notte è una semantica simbolica: il chiarore lunare
infatti dipinge riverberi, suggestioni, infrasuoni di ritmi e sottigliezza di aromi che solo una sensibilità poetico-simbolica può percepire. E’ necessario dunque, per proseguire questo cammino, riconciliarci con l’affascinante volto di Selene:
“ Kabbia lassù! Prendi il viso mio!
Tu devi darmi il viso tuo!
Tu devi rendere il viso mio!
Quello che non si sente bene!
Tu devi darmi il viso tuo-
Col quale, quando sei morta,
Ritorni nuovamente in vita,
Quando non ti vediamo;
Tu posi e poi ritorni-,
Affinchè io ti assomigli,
Perchè tua è la gioia
Di ritornare sempre in vita”. ( 8 )
“ Il bambino è un simbolo ecumenico degli inizi, delle cose nuove, della vita totale, degli avvenimenti eccezionali, della perennità, dell’eternità”. ( 9 )
E’ difficile intuire la portata della naturale interreligiosità infantile- o, per meglio dire, del suo naturale senso “corporeo, ludico e cosmico del “sacro” , del mondo e dei mondi…- se non rivalutando, in senso conoscitivo e anche sociale e politico, il suo pensiero e visione del mondo simbolici. Per cui la “danza” incessante del suo corpo, il gioco, il disegno, l’immaginazione…
Un aiuto prezioso per questo orizzonte di ricerca ci viene dalla moderna scienza dell’antropologia del sacro che studia il mondo simbolico dell’essere umano, fin dalla preistoria.
Mi sono così accorto ( 10 ) che i nostri bambini hanno, adesso, le stesse ricchezze anche metafische che alcuni vanno a studiare e a riconoscere (finalmente…) nelle incisioni rupestri di Altamira o tra gli aborigeni australiani…E la chiave di questo etno-ecumenismo si chiama il “sacro”…
La bambina e il bambino sono- come i cosiddetti primitivi- portatori, spesso anche esteticamente raffinati, dello stesso senso sacrale dell’esistenza e del cosmo…
E’ il “sacro” dunque- e non il “religioso” come si intende normalmente- che può avviare un proficuo dialogo interreligioso: a patto che non escluda quel “terzo” negletto, del cielo e della terra, che sono i cuccioli umani. Il sacro infatti, percepito e comunicato attraverso la via simbolica, può veramente parlare a tutte e a tutti, perchè è una cultura aperta e non adultocentrica.
“ Il pensiero simbolico non è dominio esclusivo del bambino, del poeta…esso è connaturato all’essere umano: precede il linguaggio e il ragionamento discorsivo. Il simbolo rivela determinati aspetti della realtà- gli aspetti più profondi- che sfuggono a qualsiasi altro mezzo di conoscenza.
Le immagini, i simboli, i miti, non sono creazioni irresponsabili della psiche, essi rispondono ad una necessità e adempiono una funzione importante: mettere a nudo le modalità più segrete dell’essere”. ( 11)
“ Una fortunata congiunzione temporale, dicevamo, ha fatto scoprire all’Europa occidentale il valore gnoseologico del simbolo nel momento in cui non è più sola a “ fare la storia”, nel momento in cui la cultura europea, se non vuole rinchiudersi in un provincialismo sterilizzante, è obbligata a fare i conti con altre vie di conoscenza, con altre scale di valori che non sono le sue. A questo riguardo tutte le scoperte e le mode successive che hanno a che vedere con l’irrazionale, con l’inconscio, con il simbolismo, con le esperienze poetiche, con le arti esotiche e non figurative ecc., hanno indirettamente preparato l’occidente a una comprensione più viva e quindi più profonda dei valori extraeuropei e, in definitiva, al dialogo con i popoli non europei”. ( 12 )
Il “religioso” e il “teologico” ovviamente si possono aggiungere, portare altre ricchezze, rifinire e completare trame e orditi, ma senza egemonie dogmatiche e possessi esclusivi di verità…
“ Ma ogni manifestazione del sacro richiede l’esistenza di una via simbolica poichè il simbolo è percepito come una “cifra” della sacralità attraverso la quale l’uomo può accedere ad un piano diverso da quello naturale. Strumento di rivelazione , il simbolo è anche un legame, cammino di senso e donatore di realtà. Seguendo la ricerca di G.Durand, Jaques Vidal mostra che la simbolica si confonde con il percorso dell’intera cultura umana e sfocia nella vocazione specifica dell’uomo, la creatività”. ( 13 )
La sostanza simbolica è dunque collegata intimamente al concetto di sacro e quello che mi ha sempre meravigliato è vedere come i fenomenologi, gli storici della religione, gli antropologi culturali e altri ricercatori hanno trovato e rivalutato questo sacro nei simboli di tutte le culture, anche lontane nel tempo oltre che nello spazio, non avvertendolo nei loro stessi figli/e….E questo naturalmente con alcune eccezioni, come le studiose e gli studiosi citati in questo lavoro, e naturalmente altri/e di cui non sono a conoscenza, ma che vorrei tanto conoscere…
Anzi , in occidente è successo di peggio: a causa della psicoanalisi- che ovviamente non demonizzo riconoscendole un grande ruolo ermeneutico sulle parole e sulle immagini del razionalismo europeo- anche il mondo simbolico infantile è stato molto spesso ingabbiato in quelle che Durand chiama ermeneutiche riduttive, “archeologiche”, per distinguerle dalle altre, ( instaurative ed amplificatrici di senso). ( 14 )
Semplificando il discorso, il sacro- legato, come vedremo in seguito, a quella grande categoria ideo-affettiva che è lo stupore, la capacità di meravigliarsi- impregna il mondo simbolico infantile in senso universale, pur nella specificità e originalità delle singole culture.
E giochi dei bambini, percepiti un senso simbolico profondo, si collegano ad antichissimi rituali misterico-iniziatici. ( 15 )
Anche l’amore dei piccoli per le fiabe si può spiegare in questo stesso senso, essendo il racconto fiabesco anche un vero e proprio viaggio iniziatico E nella fiaba- quando noi adulti riusciamo ad abbandonarci alla dolce ed erotica cultura lunare- un’altra grande sorgente di “sacro universale” è il senso “amoroso” dell’immaginazione infantile.
Ogni cosa, anche il cibo, il colore, il sentimento, l’oggetto può essere “maschile” o “femminile”…
Questa dimensione sessuata della vita- negata dall’apparemte neutralità della cultura patriarcale – oltre a essere “naturale” (noi permettendolo!) nel mondo delle bambine e dei bambini, era l’aspetto peculiare dell’arte paleolitca. ( 16 )
Vorrei in-concludere questa parte dedicata alla valorizzazione, in chiave universalistica, del racconto, disegno e gioco simbolico infantile, con un brano di Bachelard che io sento profumato da una dolce poesia:
“ Ecco tanto per iniziare un modello di unione tra il maschile di una parola e il femminile, il buon curato Jean Perrin sogna, perchè è un poeta: “ de marier l’aurore avec le claire de lune…”…
Come sarebbero più vivi i discorsi, più intimi tra le cose e gli oggetti se “ciascuno” potesse trovare la sua “ciascuna”. Perchè le parole si amano essendo state, come tutto ciò che vive, create nei due generi. Ed è così che, in reveries senza fine, stimolo i valori matrimoniali del mio vocabolario.
A volte in sogni plebei, unisco il cofanetto alla terrina… Tutte le mie fantasticherie si dualizzano.
Tutte le parole che tocchino le cose, il mondo, i sentimenti, se ne vanno l’uno cercando la sua compagna, l’altra il suo compagno: la specchiera e lo specchio, la sveglia fedele e il cronometro esatto, la foglia dell’albero e il foglio del libro, il legno e la foresta…. ( 17 )
Unità con la Madre Divina e…
“ Indugiamo dunque, posiamoci accanto al mistero dell’infanzia, la quale ben più della veglia dell’adulto è prossima all’unità…Una Madre Divina, impersonale, senza volto, si dimorò accanto a lei nell’assoluta unità…Platone nel Menone afferma che conoscere è rammentare: si coglie così coi sensi la varietà degli oggetti, ma lo loro essenza universale dobbiamo averla già veduta e ce ne risovviene…
E’ nella prima infanzia che si ebbe esperienza dell’uno.Se sapienza è semplicemente conoscersi, è nel nostro passato puerile che trovammo, dopo l’uno, le idee essenziali cui le cose sono improntate poiché le ricordiamo via via nell’esistenza, vincendo l’amnesia. I Taoisti per vincere l’amnesia “tornavano all’origine”, fino a “ripenetrare nell’utero”: riacquistavano l’infanzia”. ( 18 )
“Questa esultanza dello spirito
questo rispondere alla Natura
è il segno tipico dell’Uomo…
Ma la vera meraviglia intellettuale
prima si rivela
ai fanciulli e ai selvaggi
ed è questo il fondamento
di tutti i nostri templi
e di ogni scienza ed arte”. ( 19 )
“ Più di ogni altra cosa sono stati l’amore per la natura e l’amore per il bambino ad insegnare all’umanità a coltivare la mente, così come le hanno insegnato a curare un giardino, a dare proporzioni armoniose a un paesaggio, a rendere confortevole la casa e a ingentilire i costumi e il comportamento individuale.
Ma questo ragionamento appartiene a livelli bioculturali più semplici di quelli che sono seguiti nell’attuale attrazione ipnotica per il movimento meccanizzato o per l’assoggettamento della natura…
Nell’infanzia, il processo conoscitivo è essenzialmente poetico, poiché esso è lirico, ritmico, formante in senso generativo…
L’impulso e la capacità del poeta ( e, in forma di gran lunga più semplice, del bambino), di diventare ciò che egli desidera sapere o capire, derivano da una combinazione di meraviglia e del senso di “qualcosa” che ci permea nel profondo, un’accettazione di non sapere che porta con sé un particolare tipo di umiltà pervasa di gioia”. (20)
“ Lila, la bimba, era il gioco d’aurora
del primo mattino del mondo
e con lei eran patto d’amore
il giorno che dà conoscenza
e l’imbrunire che porta coscienza.
Si rallegrò il Giardiniere del Tempo
e per un dono al soave Creatore
prese le cose più belle
delle tre creature del cosmo
e ne fece un unico fiore
ponendogli nome stupore”. ( 21 )
Note e bibliografia:
1)- “ Documenti segreti, di Franz Hellen”, citato in nota n.44, p. 77 dal testo : “L’immaginazione simbolica, di Gilbert Durand, Il Pensiero Scientifico Editore, Roma, 1977”. La lettura di questo testo appare molto interessante per capire la “sorte”, in occidente, della parola “immaginazione” e naturalmente delle immagini…
2)- “ La poetica della reverie, di Gaston Bachelard, Dedalo, Bari, p. 47 e 55”.
3)- “ I’m sorry baby, di Mario Bolognese, Edizioni Osiride, Rovereto (Tn), 1995, II^ edizione in inglese, francese, tedesco e spagnolo, p.37”. Queste quaranta poesie, dell’autore, sono state pensate per valorizzare l’originale cultura del sacro dei bambini.
4)- “ Sacro, Simbolo, Creativita’, di Jaques Vidal, Jaca Book, Milano, 1992, p.146”.
5)- “ Cfr. da p. 193, il capitolo “ Il regime notturno dell’immagine” in : “ Le strutture antropologiche dell’immaginario, Introduzione all’archetipologia generale, di Gilbert Durand, Edizioni Dedalo, Bari, 1983”.
6)- “ I’m sorry baby, di Mario Bolognese, op.cit., p.34”.
7)- “… solo a giudicare dalla loro cultura materiale, sembra che gli Indoeuropei non abbiano voluto o potuto dissociare il pensiero dall’azione…”, da : “ L’uomo indoeuropeo e il sacro,A.A.V.V., trattato di Antropologia del sacro, vol. secondo, Jaca Book-Massimo, Milano, 1991, p. 11”.
8)- “ Canto alla falce della luna nuova, Boscimani, Africa meridionale, da: “ Poesia dei popoli primitivi, guanda, Parma, 1987, p.24”.
9)- “ I riti del costruire, di Mircea Eliade, Jaca Book, Milano, 1990, p. 419”.
10)- Cfr. al riguardo varie in : “ Verso una pedagogia del mito, di Mario Bolognese, Sonda, Torino, 1988”.
11)- “ Immagini e simboli , di Mircea Eliade, Jaca Book, Milano, 1984, 215”.
12)- Id. p. 175.
13)- Dalla premessa di Jiulien Ries a “Sacro, Simbolo, Creatività, op. cit.”.
14)- Cfr. da “ Le ermeneutiche riduttive, capitolo secondo, p.43” in : “ L’immaginazione simbolica, di G.Durand, op. cit.”.
15)- Sulla “ Meraviglia come genesi della conoscenza” e “ Anatomia del senso di meraviglia”
cfr. capitoli relativi nel testo, molto profondo e suggestivo, di Edith Cobb : “ Il genio dell’infanzia, Emme Edizioni, prefazione di Margaret Mead, Milano, 1977”.
Sul valore iniziatico del gioco, anche infantile, rimando a : “ Occultismo, Stregoneria e mode culturali, Saggi di religioni comparate, di Mircea Eliade, Sansoni, Firenze, 1982, p.47”. Sul valore interculturale e interreligioso di fiaba e gioco ho fatto una ricerca specifica, ancora inedita. Sulla vasta diffusione transculturale del “Gioco della campana”, con le originali relative invenzioni di schemi ludico-geometrici, cfr. un’interessante ricerca: “ Quando i bambini giocano a campana, di G. Staccioli, Edizioni Il Capitello, Torino, 1994” .
16)- “ Origini dell’arte e della concettualità, di Emmanuel Anati, Jaca Book, Milano, 1989, p.214”.
17)- “ La poetica della reverie, op. cit., p.47 e 55”.
18)- “ Lo stupore infantile, di Elemire Zolla, Adelphi, Milano, 1993, p. 23-24”. Mi è cara questa originale ricerca del grande studioso perchè pone il “ diventare come bambini” al vertice dell’evoluzione spirituale delle religioni.
19)- “ Robert Bridges, Il testamento della bellezza”.
20)- “ Il genio dell’infanzia, op. cit, p. 37”.
21)- “ I’m sorry baby, op. cit., p. 42”.