DONNE E TAMBURI: IMPLICAZIONI TERAPEUTICHE, SPIRITUALI E POLITICHE

ARTICOLO DI MORENA LUCIANI RUSSO

PARTE I

Tra le svariate arti femminili dell’antichità va annoverato l’uso del tamburo, che come ben testimonia la vasta letteratura etnografica è, insieme ai sonagli e ai campanelli, uno dei fondamentali strumenti utilizzati da donne e uomini per accedere agli stati sciamanici di conoscenza.

Il tamburo sciamanico per eccellenza è a cornice, con la pelle su uno o entrambi i lati.  Il suono prodotto da questo strumento permette di comunicare con gli spiriti alleati e di viaggiare attraverso i mondi invisibili. È come un’ancora di salvezza che la/o sciamana/o utilizza per compiere il viaggio di ritorno nel suo corpo e/o per uscire dallo stato di trance (1).

Sciamana della regione siberiana di Krasnojarsk, 1780

Dal punto di vista scientifico il suono del tamburo segna un incremento delle onde cerebrali Alfa e Theta. Le prime sono  le frequenze in cui si attivano maggiormente i collegamenti tra i due emisferi e si giunge a stati di benessere e rilassamento , le seconde sono responsabili di modificare la coscienza ordinaria verso immagini di tipo ipnagogico, estatico, facilitando stati di grande creatività. Il tamburo ha quindi un grande impatto sul cervello degli esseri umani e non è un caso che abbia un ruolo prioritario nelle cerimonie sciamaniche.

Oggigiorno nei nostri paesi occidentali si parla molto di mindfullness e di altri tipi di meditazione come risposta a stati di stress ed ansia, ma quasi mai si accenna agli effetti terapeutici della pratica  del tamburo, in particolar modo quella collettiva.

Negli anni ’80 dello scorso secolo, Sandra Harner e Warren Tyron, in  seguito ad un esperimento di shamanic drumming, hanno riportato che dopo mezz’ora di pratica, le persone sottoposte al test, testimoniavano un considerevole aumento dei tassi di immunoglobuline parallelamente all’aumento di tranquillità e di equilibrio fisico e mentale, sensazioni di accresciuta forza, soddisfazione e autostima.

Una decina di anni dopo, il neurologo Barry Bittman pubblicò una ricerca in cui dimostrava che l’uso del tamburo di gruppo, non agiva solamente sul piano psicologico, ma era in grado di aumentare le risposte immunitarie dei/lle partecipanti, ma soprattutto l’attività delle  cosiddette cellule natural killer, quelle che all’interno del nostro corpo ricercano e distruggono le cellule cancerose o infette da virus.

Anche la ricerca dello psicoterapeuta Robert L. Friedman porta nella medesima direzione : l’uso del tamburo induce miglioramenti decisivi in pazienti affetti da malattia di Alzheimer, Autismo, Morbo di Parkinson e svariate malattie autoimmuni.

Fin dai tempi più lontani il tamburo è stato utilizzato per scopi rituali e terapeutici, in particolar modo dalle donne. Nella società attuale questo può apparire inusuale, le percussioni sembrerebbero utilizzate maggiormente dagli uomini, ma è interessante notare che i primi tamburi a cornice di cui abbiamo testimonianza risalgono a una pittura rupestre di Çatal Hüyük, insediamento neolitico matriarcale ( 5600 a.C.)in cui, come dimostrato dalla ricerca archeo-mitologica, si celebrava la dea in particolare come Signora della Vita, della Morte e degli Animali e le donne avevano un ruolo molto importante nella vita rituale e religiosa.

Layne Redmond, percussionista e studiosa dell’uso del tamburo da parte delle donne nell’antichità afferma che:

la musica ritmica sembra essere stata particolarmente importante nei riti associati alle antiche dee. Scene di gruppi di donne musiciste, cantanti e danzatrici appaiono nelle più antiche rappresentazioni di rituali religiosi. Il tamburo a cornice era il centro musicale e psichico di questi rituali.  Dall’Egitto alla Valle dell’Indo, da Cipro a Creta, come dalla Grecia a Roma, sacerdotesse e altre donne ufficianti utilizzavano il tamburo a cornice per celebrare le loro dee e l’infinita energia ritmica della vita (REDMOND 1997)

È importante sapere che anche il primo suonatore di tamburo di cui si parla nella storia è donna. Visse nel 2380 a.C. e il suo nome era Lipushiau, nipote del re Naram Sim e alta sacerdotessa del tempio della luna di Ur.La cultura sumera produsse inoltre numerose statuine raffiguranti donne e dee che reggono tamburi tra le mani. Secondo il celebre storico della musica Walter Wiora queste prime testimonianze del mondo sumero sono proprio la derivazione di una precedente tradizione neolitica.

L’uso del tamburo da parte delle donne è stato riscontrato anche nell’Antico Egitto. Nel complesso templare di Dendera, costruito  in onore della dea Hathor, esisteva un luogo chiamato mammisi, una sorta di santuario di nascita dove le donne si recavano per partorire. Su una parete dell’edificio sono raffigurate trentadue sacerdotesse che suonano il tamburo a cornice e sul lato opposto altre ventinove che stringono tra le mani lo scettro e il sistro, versione egiziana del sonaglio.

Mammisi, Tempio di Dendera

Secondo la Redmond  le donne conoscevano alcuni ritmi che favorivano le contrazioni uterine e il tamburo accompagnava e proteggeva il passaggio alla vita.

Parallelamente tutta l’area mediterranea presenta reperti, statuine e bassorilievi che raffigurano suonatrici di tamburo. In particolare emerge la rappresentazione della dea Cibele, l’antica dea anatolica, diretta discendente della Signora degli animali di Çatal Hüyük. Il culto di Cibele venne assorbito prima dai Greci e poi dai Romani e il fatto che fosse generalmente ritratta con in mano il tamburello faceva riferimento alle funzioni oracolari che svolgevano le sue sacerdotesse e in epoca più tardiva i suoi sacerdoti eunuchi.

 

Scultura romana in bronzo della dea Cibele

Sempre in area mediterranea le donne utilizzavano il tamburo anche per accompagnare i riti funerari, si credeva che il suo battito accelerasse il passaggio dei morenti e affrettasse la loro rinascita. Questa credenza trovava una corrispondenza nella vita naturale: le nostre antenate  si erano accorte che la forza vibrazionale del tamburo aiutava la germinazione dei semi posti nella terra e potenziava la crescita della vegetazione, perché non quella delle anime dei loro cari allora?

Secondo la Redmond i tamburi hanno la forma della luna la quale, come noto, è l’elemento che scandisce il ritmo della vita sulla terra. Tenendo conto che questa profonda relazione tra la donna, la luna e il tempo era già testimoniata dai calendari in osso paleolitici, non c’è da stupirsi che laddove questa venisse onorata e rispettata vi fossero donne suonatrici di tamburo.

Nel momento in cui i popoli proto-indo-europei invasero i territori dell’Antica Europa balcanica e mediterranea (GIMBUTAS 2008), questa corrispondenza sacra si perse,  le donne furono allontanate dalle loro funzioni politiche e  rituali e quindi l’arte del tamburo rimase nelle mani dei soli sacerdoti maschi.  Inoltre, sempre in questo periodo, il tamburo cominciò a essere usato durante le parate militari.

In Europa, la Chiesa proibì le danze e i canti rituali delle donne in un Concilio dell’826, ma nel XIII secolo si spinse ben oltre bandendo le donne che danzavano e suonavano per i morti e vietando loro la partecipazione ai funerali.

Il cristianesimo fu il maggiore responsabile dell’anatema imposto sui tamburi nell’ area mediterranea.

L’etnomusicologo Paolo Pacciolla sostiene che:

Il tamburo era al centro dei rituali pre-cristiani, bandire il tamburo era come togliere l’altare agli antichi culti. Un processo analogo  è avvenuto nel mondo islamico e nella musica colta, dove il tamburo svolge una funzione fondamentalmente metrica (PACCIOLLA 2008).

Una simile espropriazione è avvenuta in Cina, dove le Wu, sciamane che invocavano la pioggia sulle montagne brandendo serpenti tra le mani  e utilizzavano il tamburo come principale mezzo di guarigione e divinazione, furono allontanate dalle loro funzioni rituali quando, intorno al 100 a.C il Confucianesimo rovesciò il sistema matrifocale.

Sarà una coincidenza che tutte queste religioni collegate a sistemi sociali  patriarcali abbiano  bandito i tamburi e imbavagliato il potere spirituale femminile?

FINE PRIMA PARTE

 Testo © Morena Luciani Russo.

Ai sensi della legge legge 248/00 il presente materiale può essere utilizzato solo citando l’autrice e la fonte.

(1) Personalmente preferisco il termine Stati Sciamanici di Conoscenza al termine riduttivo “trance”. Cit.  Pratt 2007.(Maggiori dettagli nel mio testo “Donne Sciamane”).

BIBLIOGRAFIA

Belli Remo, “Interview with  Dr. Barry Bittman”

Gimbutas M. Il Linguaggio della Dea, Venexia ed., Roma 2008

Luciani M., Donne Sciamane. Venexia ed., Roma 2012.

Tedoldi D., L’Albero della Musica, Anima ed., Milano 2006.

Maxfield M., “The Journey of the Drum”, in Re-vision 16, n. 4,

1994, pp. 157-163 e Neher A., “A Physiological Explanation of Unusual

Behaviour in Ceremonies Involving Drums”, in Human Biology 6, 1962, 151-160.

Pacciolla P. e Spagna A.L., La gioia e il potere. Musica e danza in India, Besa, Nardò 2008.

Pratt C., An Encyclopedia of Shamanism, The Rosen Publishing Group, New York 2007.

Redmond L., When the Drummers Were Women. A Spiritual History of Rhythm, Three Rivers Press, New York 1997, p. 10.

Wiora W., The Four Ages of Music, W.W. Norton, University of Michigan, 1965.

Eisinger Dale, “Not Just for Music, Drum is Therapy too.

L’Arte della Purificazione e il Business delle Erbe Sciamaniche

 

Nelle ultime settimane si è fatto un gran parlare dell’iniziativa della catena di cosmetici Sephora di mettere in vendita un “kit della strega”, una scatola che, tra le altre cose, conteneva la Salvia Bianca, pianta sacra delle popolazioni native della California, il cui fumo viene usato nella purificazione sciamanica. I gruppi nativi si sono ribellati con un’accesa battaglia virtuale, spiegando come la salvia sia  una medicina tradizionale, che a causa del business creato negli ultimi anni a livello globale, è ormai a rischio di estinzione. Le proteste sembrano aver funzionato e il kit ora non è più sul mercato, ma credo sia importante fermarsi a riflettere cercando di portare chiarezza su un punto importante.

In quasi tutte le cerimonie sacre si bruciano erbe e incensi, ma non é semplicemente l’atto di bruciare una pianta a fare una vera “purificazione”. Nello sciamanesimo le piante sono alleate come gli animali e le pietre, non per tutte e tutti sono le stesse ed il loro potere non deriva semplicemente dal principio vegetale attivo, ma risiede nella relazione che impariamo a creare con esse qui, nella terra che calpestiamo, nei luoghi che amiamo. Negli anni impareremo a fare i giusti avvistamenti, a raccogliere sempre poco da ogni pianta, a ringraziare e lasciare qualcosa in cambio, che nutra magari gli altri esseri della Terra. A farci trovare piuttosto che a cercare.
Non c’è nulla di male a provare erbe di luoghi lontani, ma abbandoniamo l’idea che sia sufficiente comprare un bastone di salvia per pulire la bolla energetica di una persona o un luogo. Se non c’è connessione, se non c’è rivelazione, agiremo sempre e solo in superficie.
Non vi svelerò quali sono le piante che io uso e raccolgo, ma voglio raccontarvi questo. La mia amica Giovanna ha coltivato e poi raccolto le sue piante di lavanda. A loro ha cantato durante la crescita, le ha accudite e poi al momento giusto, tagliate, seccate e ripiegate con arte, in modo che continuino a bruciare per un po’ e infine legate con un bel nastro viola.
Quando brucio la sua lavanda io non sento semplicemente la lavanda, ma l’amore che lei e Giovanna hanno nutrito insieme e che cura e rende più dolce la mia casa. Solo nella relazione poetica e affettiva tra noi e il mondo si attiva la magia, le piante allora ci offriranno il loro dono sciamanico e noi impareremo davvero a muoverci in modo sacro. Quindi che le Giovanne e i Giovanni abbondino nelle nostre vite!

Immagini e Testo © Morena Luciani Russo.

Ai sensi della legge legge 248/00 il presente materiale può essere utilizzato solo citando l’autrice e la fonte.

 

Morena Luciani Russo è artista rituale, suonatrice di tamburo e ricercatrice del sacro femminile, leggi la bio QUI.

 

Morena Luciani Russo: la ricerca della Dea e lo sciamanesimo

Intervista di Francesca Bianchi per FT News

9 Gennaio 2019

FtNews ha intervistato Morena Luciani Russo, artista rituale, insegnante di sciamanesimo femminile e libera ricercatrice nel campo delle scienze sociali, con particolare attenzione all’antropologia del sacro femminile, all’archeomitologia e allo studio degli stati modificati di coscienza e dei sistemi di guarigione.
Per i lettori di FtNews la studiosa, che ha all’attivo una laurea in Antropologia presso l’Università degli Studi di Torino, ha ripercorso i suoi primi passi nel mondo della spiritualità femminile, dello sciamanesimo e delle culture matriarcali. Fondamentale per questa svolta è stato l’incontro con Vicki Noble, ricercatrice, scrittrice, studiosa delle culture matrifocali e, soprattutto, maestra spirituale che ha portato il risveglio del femminile nel mondo. Nel corso degli anni la ricerca spirituale ha assunto per la Luciani Russo un ruolo sempre più importante, inducendola a dedicarsi alla meditazione e alla pratica con il tamburo come esperienza conoscitiva e ad organizzare i primi cerchi di donne, da lei considerati una grande forma di guarigione collettiva ed individuale.
Fondatrice dell’associazione culturale Laima, nata in onore di Marija Gimbutas con l’intento di promuovere la cultura matristica e la spiritualità femminile, la studiosa è autrice del libro Donne Sciamane, pubblicato nel 2012 per Venexia Editrice. Nel corso della nostra conversazione, si è soffermata anche sullo sciamanesimo femminile, sottolineando l’importanza di essere sciamane nella nostra epoca per portare il sacro nella vita quotidiana e superare l’idea patriarcale che la divinità sia in una dimensione trascendente.
La studiosa ha infine parlato dei progetti a cui attualmente sta lavorando e del ritiro sciamanico che ogni anno, nel mese di luglio, organizza tra le vette della Val di Susa, luoghi dove vive e a cui è particolarmente legata.

Morena, Lei è laureata in Antropologia e ama definirsi artista e libera ricercatrice nel campo delle scienze sociali. Di cosa si occupa esattamente?
Definirsi è sempre complicato. L’arte mi ha portato a compiere delle ricerche in campo antropologico, indagando in particolare il mondo arcaico che ha da sempre catturato la mia attenzione e la mia voglia di conoscere. In quanto artista, la mia via di conoscenza non è lineare, non si muove solo attraverso i libri, ma si nutre di simboli e di intuizioni. In quanto donna, mi ha richiesto un salto ulteriore: comprendere e trovare una chiave di accesso alla realtà, anche a quella simbolica e spirituale, che mi appartenesse e che non fosse mutuata dal sapere maschile con cui mi ero formata, del resto tutte e tutti noi siamo cresciuti così.

Quando è nato in Lei l’interesse per la spiritualità legata al culto della Grande Dea e per le società matriarcali? Ci racconti qualcosa del Suo percorso sulle tracce della spiritualità femminile...
Diciassette anni fa sicuramente ho vissuto una vera e propria chiamata verso il mondo del sacro femminile, anche attraverso il mio primo parto, come racconto nel mio libro. Quando trovai per caso “Il Risveglio della Dea”, il libro di quella che sarebbe diventata una delle mie maestre più importanti, cominciai a rivoluzionare il mio modo di vedere le cose e a comprendere perché mi erano arrivate così tante immagini femminili, così insolite, senza braccia, con grandi ventri e grandi seni. Qualcosa di profondo si stava disvelando; era così entusiasmante e spaventoso allo stesso tempo. Sapevo ancora troppo poco, ma sentivo che dovevo scavare, scavare, che c’era qualcosa di grande che mi aspettava dall’altra parte. Eppure potevo fare poco, avevo un bambino piccolo, un dottorato non pagato, una storia che non funzionava. Avevo, all’epoca, poche persone con cui condividere quel percorso e la solitudine non è una buona amica in un percorso rivoluzionario, ma studiavo quanto più possibile. Poi arrivò una grande serpentessa a salvarmi dalla mia vita sbagliata, oggi posso sorriderne, però una mattina mi svegliai e sopra al letto vidi come delle sbarre, non respiravo più e non potevo muovermi. Quell’incontro sciamanico non mi diede tregua, fino a quando non scelsi veramente me stessa, e scegliere me significava anche ridare dignità alla via della Grande Dea, come la definiva Marija Gimbutas. Così, con tutta la forza che non pensavo di possedere, cambiai la mia vita, e dopo poco tempo conobbi Vicki Noble e tutte le mie compagne dakini, con cui iniziai un percorso di spiritualità femminile in Italia, e cominciai a tenere i primi cerchi di donne a Torino.

Nel 2010 ha fondato l’associazione culturale Laima. Di cosa si occupa questa Associazione? Con quali obiettivi è nata?
Laima è nata per onorare Marija Gimbutas e tutte le donne e gli uomini che portano nuove visioni per uscire dalla struttura patriarcale della società. Laima per me è la dimostrazione che le donne che trovano il proprio centro spirituale attraverso le esperienze in cerchio possono trasformare la propria vita ed imparare a relazionarsi in modo differente, senza competizioni e fuori dagli stereotipi stabiliti dalla cultura maschilista. Abbiamo fatto tante cose in questi anni; sul sito potete trovare un po’ della nostra storia.

Nel 2012 è uscito il Suo libro Donne Sciamane (Venexia Editrice), un’ottima lettura per tutte le donne che si accingono ad intraprendere un viaggio interiore alla scoperta di sé e delle energie insite nell’essere donna. Perché noi donne siamo sciamane per natura? Ci spieghi come definirebbe lo sciamanesimo femminile e quali sono le sue peculiarità…
Come dico nel mio sito, lo sciamanesimo femminile non è una religione, ma il richiamo che la natura, nostra Madre, sussurra nell’universo e che noi, sviluppando nuove forme di attenzione alla realtà, possiamo tornare ad ascoltare. L’espressione “sciamane per natura” era la dichiarazione di uno sciamano chukchee che sosteneva che le donne non avevano bisogno di chiamate o di particolari apprendistati. Questa affermazione servì a mettere in discussione l’assunto che queste fossero le uniche vie d’accesso al risveglio dei poteri sciamanici, caratteristiche più spesso attribuite agli uomini. Le donne attraverso il ciclo mestruale e il parto conoscono già la via che porta agli altri mondi e sono predisposte ad una visione ciclica e non lineare della realtà. Quando cominciano a portare attenzione a come l’energia si muove nel loro corpo e a comprendere come questa sia collegata alla realtà naturale, alla luna, alle stelle, agli alberi, agli animali, ai fiumi, alle montagne, allora si aprono alle energie sciamaniche.

Cosa significa, per Lei, essere una sciamana oggi?
Credo sia necessario fare una differenziazione. Aprirsi alle energie sciamaniche non è essere sciamane o sciamani. È la possibilità che ci diamo di entrare in relazione più completa con il mondo e di tornare a portare il sacro nella vita quotidiana, di superare l’idea patriarcale che la divinità sia in una dimensione trascendente, è il fare esperienza estatica, scoprendo che abitiamo tante dimensioni, dentro e fuori di noi. Essere sciamane implica un passo ulteriore, una scelta non nostra, non siamo noi a dirci “sciamane/i”, gli spiriti scelgono e poi è il mondo esterno che riconosce delle caratteristiche in noi, non in senso gerarchico, ma proprio come una grande madre che si occupa spiritualmente dei propri figli e delle proprie figlie. Del resto, come diceva Campbell, anche il significato di Lama era quello di la, inteso come “superiore”, e ma, come “madre”, madre superiore, nel senso della forma più alta di maternità. Questo per me è il significato che lo sciamanesimo rivestiva all’inizio dei tempi, quando le società erano matriarcali e centrate sul materno e sulla cura, della comunità e della Terra.
Non ci sono certificati per diventare sciamane, oggi va molto di moda, ma è molto più importante focalizzarsi sulle pratiche piuttosto che pensare ad avere certificati. Noi viviamo in una società individualista fondata sull’ego, mentre lo sciamanesimo è nato nella dimensione collettiva e può riportarci ad essa.

E il tamburo?
Il tamburo è una delle migliori guide che si possano avere. Se cominciamo ad usarlo in modo rituale, non semplicemente ludico o artistico, ci permette di entrare nella vibrazione del cosmo, di spazzare via tutto ciò che la mente crea di superfluo e non utile per la nostra vita. Se si è in gruppo, ha la capacità di creare e mantenere una buona, gioiosa energia collettiva, cosa non semplice in una cultura come la nostra. Per noi donne l’uso sciamanico del tamburo ha un significato ancora più profondo, perché ci aiuta ad espandere il nostro potere interiore. Ho visto tante donne in questi anni che sono proprio cambiate: arrivano timide e timorose, ma dopo due o tre esperienze sciamaniche con il tamburo, la loro energia si espande e cominciano ad emanare una grande bellezza e fierezza. Certo, non per tutte è così, non è che ogni donna sia affine a questo tipo di via sciamanica, ma lo è per molte. Le donne sono state le prime suonatrici di tamburi e stanno riscoprendo una parte importante di sé attraverso questo strumento. Il tamburo, i sonagli, i campanelli sono da sempre centrali nelle cerimonie del Sacro Femminile e anche per gli uomini possono essere un potente strumento per riavvicinarsi all’energia della Grande Madre.

Cos’era, secondo Lei, il culto della Dea?
Non pensiamo ad un culto: ci porta fuori strada perché diversifica i piani di realtà. Pensiamo ad una società della Dea, ad un grande organismo che riproduce il suo corpo come un microcosmo. La metafora del corpo della Grande Madre ci parla di questo ed è il motivo per cui la troviamo riprodotta così frequentemente nel Paleolitico e nel Neolitico. Essa ci dice che non c’era separazione tra lei e la vita delle persone: lei era la Terra, il cielo, le stelle, gli alberi, i vasi con i seni da cui si prendeva l’acqua, la roccia su cui si incideva, gli uccelli che ripulivano le ossa dei morti, il fuoco che riscaldava e trasformava il cibo.

Che ruolo ricopriva la donna quando vigeva il culto della Dea?
Era chiaramente la sua trasposizione in forma umana, non è un’affermazione femminista. Basta studiare qualche società matriarcale vivente e si capisce che è ancora così: provate a sentire parlare un uomo del popolo Moso. Le donne della società della Dea erano onorate per i doni che elargivano alla collettività: erano insegnanti, artiste, madri, nutrici, guaritrici ed erano riconosciute per le loro doti spirituali ed oracolari.

Le faccio una domanda che ho posto spesso alle molte studiose e ricercatrici nell’ambito della spiritualità femminile che ho intervistato nel corso di questi ultimi anni. Non ricordo di aver mai sentito pronunciare il nome di Marija Gimbutas dai numerosi docenti che ho avuto nel corso della mia carriera scolastica ed universitaria. Come si spiega tanto oscurantismo da parte della cultura ufficiale nei confronti di questa straordinaria studiosa e del suo metodo di ricerca?
Mary Daly in “Quintessenza” cita un passo di Virginia Woolf che secondo me risponde benissimo a questa domanda: E le figlie degli uomini colti danzino attorno al grande falò, continuando a gettare bracciate di foglie morte sulle fiamme, mentre le loro madri dalle finestre più alte gridano “Che bruci! Non sappiamo che farcene di questa istruzione”. Marija Gimbutas è una delle grandi donne della storia, una di quelle che fa sentire piccoli tutti coloro che sono venuti prima di lei. Esiste un’istruzione prima di Marija Gimbutas e una dopo, e da che parte stiamo dipende da quanto patriarcato abbiamo messo in discussione nei nostri studi.

Negli ultimi tempi assistiamo a un lento e progressivo risveglio della spiritualità femminile. Lei stessa organizza cerchi, incontri, celebrazioni stagionali. Cosa avviene durante queste cerimonie? Quante è importante per noi donne trovare, nella frenesia della nostra quotidianità, degli spazi tutti nostri e tornare a riunirci in cerchio?
Ci riallineiamo in primo luogo con lo scorrere ciclico del tempo, impariamo a seguire il tempo lunare, a collegarci su un piano energetico e non verbale. Ricostruiamo un filo tra le generazioni e questo è fondamentale per il benessere delle donne: le più grandi sostengono le più giovani e le più giovani vivificano le più grandi. I cerchi di donne sono in questo momento una grande forma di guarigione collettiva ed individuale, ma non è una banalità fare un cerchio. Se non si mettono in discussione i principi patriarcali su cui è fondata la spiritualità che troviamo in giro, non riusciremo a creare un vero cerchio di donne e in poco tempo tutto si dissolverà.

Ogni anno, nel mese di luglio, organizza un ritiro sciamanico in Val di Susa, che riscuote sempre un grande successo. Perché ha scelto proprio le vette della Val di Susa? A quali cerimonie, a quali pratiche vi dedicate durante il ritiro?
Sono le montagne su cui abito, i luoghi che amo e nei quali pratico. Ho iniziato tanti anni fa proponendo un rituale in onore della Montagna Madre, la più grande che c’è nella mia valle. Poi nel tempo si è trasformato in un vero e proprio ritiro di tre giorni. I ritiri li ricordo sempre con gioia: sono momenti in cui stiamo tutte insieme, mettendoci anche a dura prova, perché l’energia delle montagne è impegnativa. Tutto è molto “forte” in montagna: il sole cocente, il vento, il freddo, se il sole non c’è. A volte prendiamo la pioggia e camminiamo nel fango, ma quando affronti la montagna a livello rituale, ti fondi completamente con lei, senti l’energia della terra che ti sostiene e che ti sospinge in alto. Normalmente cominciamo onorando l’albero più anziano del luogo in cui siamo, la Madre di tutti gli alberi del circondario, e da lì prendiamo il radicamento e il nutrimento che ci sosterrà fino alla fine del ritiro. Poi ci spostiamo nei vari luoghi energetici della Valle, lavoriamo nelle grotte, alle cascate. Dipende dagli anni, ogni volta il ritiro è dedicato ad una diversa forma della Dea: l’anno scorso abbiamo lavorato con la volpe, altre volte con l’orsa o con la dea uccello. Alla fine della primavera salgo da sola alla montagna e sento con quale energia lavorare. Il giorno prima della salita alla grande Montagna prepariamo le offerte di fiori da portare su e ognuna cuce l’intento per la sua vita: quali cose vuole migliorare di se stessa e quali vuole lasciare andare, cuce la sua preghiera, poi la mattina all’alba e a digiuno saliamo su a portare i nostri doni. Questo tipo di ritualità cambia profondamente la nostra vita, ci insegna a sviluppare un rapporto affettivo con la Terra, perché la forza che genera l’incontro con quella grande montagna ci accompagnerà sempre. Per me che ci vivo ancora di più, chiaramente, ma a volte mi scrivono le donne che abitano lontano per dirmi quanto l’immagine della montagna e di noi lì tutte insieme dia loro forza nei momenti difficili, e questo è un grande dono anche per me.

Attualmente sta lavorando a qualche progetto? Quali appuntamenti L’attenderanno in questo nuovo anno?
Sono tornata a disegnare e a dipingere; in questi anni, tra figli, convegni, seminari, ho dovuto mettere un po’ da parte il lavoro artistico, ma è un’espressione troppo importante della mia anima e non posso trascurarla per molto tempo. Quindi ho in progetto una mostra ed una nuova performance rituale. Poi ci saranno i seminari, in particolare in primavera andrò al Sud, precisamente a Napoli e a Palermo, e sono molto felice di questo. Trovo tanto nutrimento in quelle terre: hanno conservato di più l’energia arcaica, la Dea si sente ancora nelle persone, nelle feste popolari, nella musica. E poi a luglio ci saranno altri due ritiri in montagna!