Intervista di Francesca Bianchi per FT News
9 Gennaio 2019
FtNews ha intervistato Morena Luciani Russo, artista rituale, insegnante di sciamanesimo femminile e libera ricercatrice nel campo delle scienze sociali, con particolare attenzione all’antropologia del sacro femminile, all’archeomitologia e allo studio degli stati modificati di coscienza e dei sistemi di guarigione.
Per i lettori di FtNews la studiosa, che ha all’attivo una laurea in Antropologia presso l’Università degli Studi di Torino, ha ripercorso i suoi primi passi nel mondo della spiritualità femminile, dello sciamanesimo e delle culture matriarcali. Fondamentale per questa svolta è stato l’incontro con Vicki Noble, ricercatrice, scrittrice, studiosa delle culture matrifocali e, soprattutto, maestra spirituale che ha portato il risveglio del femminile nel mondo. Nel corso degli anni la ricerca spirituale ha assunto per la Luciani Russo un ruolo sempre più importante, inducendola a dedicarsi alla meditazione e alla pratica con il tamburo come esperienza conoscitiva e ad organizzare i primi cerchi di donne, da lei considerati una grande forma di guarigione collettiva ed individuale.
Fondatrice dell’associazione culturale Laima, nata in onore di Marija Gimbutas con l’intento di promuovere la cultura matristica e la spiritualità femminile, la studiosa è autrice del libro Donne Sciamane, pubblicato nel 2012 per Venexia Editrice. Nel corso della nostra conversazione, si è soffermata anche sullo sciamanesimo femminile, sottolineando l’importanza di essere sciamane nella nostra epoca per portare il sacro nella vita quotidiana e superare l’idea patriarcale che la divinità sia in una dimensione trascendente.
La studiosa ha infine parlato dei progetti a cui attualmente sta lavorando e del ritiro sciamanico che ogni anno, nel mese di luglio, organizza tra le vette della Val di Susa, luoghi dove vive e a cui è particolarmente legata.
Morena, Lei è laureata in Antropologia e ama definirsi artista e libera ricercatrice nel campo delle scienze sociali. Di cosa si occupa esattamente?
Definirsi è sempre complicato. L’arte mi ha portato a compiere delle ricerche in campo antropologico, indagando in particolare il mondo arcaico che ha da sempre catturato la mia attenzione e la mia voglia di conoscere. In quanto artista, la mia via di conoscenza non è lineare, non si muove solo attraverso i libri, ma si nutre di simboli e di intuizioni. In quanto donna, mi ha richiesto un salto ulteriore: comprendere e trovare una chiave di accesso alla realtà, anche a quella simbolica e spirituale, che mi appartenesse e che non fosse mutuata dal sapere maschile con cui mi ero formata, del resto tutte e tutti noi siamo cresciuti così.
Quando è nato in Lei l’interesse per la spiritualità legata al culto della Grande Dea e per le società matriarcali? Ci racconti qualcosa del Suo percorso sulle tracce della spiritualità femminile...
Diciassette anni fa sicuramente ho vissuto una vera e propria chiamata verso il mondo del sacro femminile, anche attraverso il mio primo parto, come racconto nel mio libro. Quando trovai per caso “Il Risveglio della Dea”, il libro di quella che sarebbe diventata una delle mie maestre più importanti, cominciai a rivoluzionare il mio modo di vedere le cose e a comprendere perché mi erano arrivate così tante immagini femminili, così insolite, senza braccia, con grandi ventri e grandi seni. Qualcosa di profondo si stava disvelando; era così entusiasmante e spaventoso allo stesso tempo. Sapevo ancora troppo poco, ma sentivo che dovevo scavare, scavare, che c’era qualcosa di grande che mi aspettava dall’altra parte. Eppure potevo fare poco, avevo un bambino piccolo, un dottorato non pagato, una storia che non funzionava. Avevo, all’epoca, poche persone con cui condividere quel percorso e la solitudine non è una buona amica in un percorso rivoluzionario, ma studiavo quanto più possibile. Poi arrivò una grande serpentessa a salvarmi dalla mia vita sbagliata, oggi posso sorriderne, però una mattina mi svegliai e sopra al letto vidi come delle sbarre, non respiravo più e non potevo muovermi. Quell’incontro sciamanico non mi diede tregua, fino a quando non scelsi veramente me stessa, e scegliere me significava anche ridare dignità alla via della Grande Dea, come la definiva Marija Gimbutas. Così, con tutta la forza che non pensavo di possedere, cambiai la mia vita, e dopo poco tempo conobbi Vicki Noble e tutte le mie compagne dakini, con cui iniziai un percorso di spiritualità femminile in Italia, e cominciai a tenere i primi cerchi di donne a Torino.
Nel 2010 ha fondato l’associazione culturale Laima. Di cosa si occupa questa Associazione? Con quali obiettivi è nata?
Laima è nata per onorare Marija Gimbutas e tutte le donne e gli uomini che portano nuove visioni per uscire dalla struttura patriarcale della società. Laima per me è la dimostrazione che le donne che trovano il proprio centro spirituale attraverso le esperienze in cerchio possono trasformare la propria vita ed imparare a relazionarsi in modo differente, senza competizioni e fuori dagli stereotipi stabiliti dalla cultura maschilista. Abbiamo fatto tante cose in questi anni; sul sito potete trovare un po’ della nostra storia.
Nel 2012 è uscito il Suo libro Donne Sciamane (Venexia Editrice), un’ottima lettura per tutte le donne che si accingono ad intraprendere un viaggio interiore alla scoperta di sé e delle energie insite nell’essere donna. Perché noi donne siamo sciamane per natura? Ci spieghi come definirebbe lo sciamanesimo femminile e quali sono le sue peculiarità…
Come dico nel mio sito, lo sciamanesimo femminile non è una religione, ma il richiamo che la natura, nostra Madre, sussurra nell’universo e che noi, sviluppando nuove forme di attenzione alla realtà, possiamo tornare ad ascoltare. L’espressione “sciamane per natura” era la dichiarazione di uno sciamano chukchee che sosteneva che le donne non avevano bisogno di chiamate o di particolari apprendistati. Questa affermazione servì a mettere in discussione l’assunto che queste fossero le uniche vie d’accesso al risveglio dei poteri sciamanici, caratteristiche più spesso attribuite agli uomini. Le donne attraverso il ciclo mestruale e il parto conoscono già la via che porta agli altri mondi e sono predisposte ad una visione ciclica e non lineare della realtà. Quando cominciano a portare attenzione a come l’energia si muove nel loro corpo e a comprendere come questa sia collegata alla realtà naturale, alla luna, alle stelle, agli alberi, agli animali, ai fiumi, alle montagne, allora si aprono alle energie sciamaniche.
Cosa significa, per Lei, essere una sciamana oggi?
Credo sia necessario fare una differenziazione. Aprirsi alle energie sciamaniche non è essere sciamane o sciamani. È la possibilità che ci diamo di entrare in relazione più completa con il mondo e di tornare a portare il sacro nella vita quotidiana, di superare l’idea patriarcale che la divinità sia in una dimensione trascendente, è il fare esperienza estatica, scoprendo che abitiamo tante dimensioni, dentro e fuori di noi. Essere sciamane implica un passo ulteriore, una scelta non nostra, non siamo noi a dirci “sciamane/i”, gli spiriti scelgono e poi è il mondo esterno che riconosce delle caratteristiche in noi, non in senso gerarchico, ma proprio come una grande madre che si occupa spiritualmente dei propri figli e delle proprie figlie. Del resto, come diceva Campbell, anche il significato di Lama era quello di la, inteso come “superiore”, e ma, come “madre”, madre superiore, nel senso della forma più alta di maternità. Questo per me è il significato che lo sciamanesimo rivestiva all’inizio dei tempi, quando le società erano matriarcali e centrate sul materno e sulla cura, della comunità e della Terra.
Non ci sono certificati per diventare sciamane, oggi va molto di moda, ma è molto più importante focalizzarsi sulle pratiche piuttosto che pensare ad avere certificati. Noi viviamo in una società individualista fondata sull’ego, mentre lo sciamanesimo è nato nella dimensione collettiva e può riportarci ad essa.
E il tamburo?
Il tamburo è una delle migliori guide che si possano avere. Se cominciamo ad usarlo in modo rituale, non semplicemente ludico o artistico, ci permette di entrare nella vibrazione del cosmo, di spazzare via tutto ciò che la mente crea di superfluo e non utile per la nostra vita. Se si è in gruppo, ha la capacità di creare e mantenere una buona, gioiosa energia collettiva, cosa non semplice in una cultura come la nostra. Per noi donne l’uso sciamanico del tamburo ha un significato ancora più profondo, perché ci aiuta ad espandere il nostro potere interiore. Ho visto tante donne in questi anni che sono proprio cambiate: arrivano timide e timorose, ma dopo due o tre esperienze sciamaniche con il tamburo, la loro energia si espande e cominciano ad emanare una grande bellezza e fierezza. Certo, non per tutte è così, non è che ogni donna sia affine a questo tipo di via sciamanica, ma lo è per molte. Le donne sono state le prime suonatrici di tamburi e stanno riscoprendo una parte importante di sé attraverso questo strumento. Il tamburo, i sonagli, i campanelli sono da sempre centrali nelle cerimonie del Sacro Femminile e anche per gli uomini possono essere un potente strumento per riavvicinarsi all’energia della Grande Madre.
Cos’era, secondo Lei, il culto della Dea?
Non pensiamo ad un culto: ci porta fuori strada perché diversifica i piani di realtà. Pensiamo ad una società della Dea, ad un grande organismo che riproduce il suo corpo come un microcosmo. La metafora del corpo della Grande Madre ci parla di questo ed è il motivo per cui la troviamo riprodotta così frequentemente nel Paleolitico e nel Neolitico. Essa ci dice che non c’era separazione tra lei e la vita delle persone: lei era la Terra, il cielo, le stelle, gli alberi, i vasi con i seni da cui si prendeva l’acqua, la roccia su cui si incideva, gli uccelli che ripulivano le ossa dei morti, il fuoco che riscaldava e trasformava il cibo.
Che ruolo ricopriva la donna quando vigeva il culto della Dea?
Era chiaramente la sua trasposizione in forma umana, non è un’affermazione femminista. Basta studiare qualche società matriarcale vivente e si capisce che è ancora così: provate a sentire parlare un uomo del popolo Moso. Le donne della società della Dea erano onorate per i doni che elargivano alla collettività: erano insegnanti, artiste, madri, nutrici, guaritrici ed erano riconosciute per le loro doti spirituali ed oracolari.
Le faccio una domanda che ho posto spesso alle molte studiose e ricercatrici nell’ambito della spiritualità femminile che ho intervistato nel corso di questi ultimi anni. Non ricordo di aver mai sentito pronunciare il nome di Marija Gimbutas dai numerosi docenti che ho avuto nel corso della mia carriera scolastica ed universitaria. Come si spiega tanto oscurantismo da parte della cultura ufficiale nei confronti di questa straordinaria studiosa e del suo metodo di ricerca?
Mary Daly in “Quintessenza” cita un passo di Virginia Woolf che secondo me risponde benissimo a questa domanda: E le figlie degli uomini colti danzino attorno al grande falò, continuando a gettare bracciate di foglie morte sulle fiamme, mentre le loro madri dalle finestre più alte gridano “Che bruci! Non sappiamo che farcene di questa istruzione”. Marija Gimbutas è una delle grandi donne della storia, una di quelle che fa sentire piccoli tutti coloro che sono venuti prima di lei. Esiste un’istruzione prima di Marija Gimbutas e una dopo, e da che parte stiamo dipende da quanto patriarcato abbiamo messo in discussione nei nostri studi.
Negli ultimi tempi assistiamo a un lento e progressivo risveglio della spiritualità femminile. Lei stessa organizza cerchi, incontri, celebrazioni stagionali. Cosa avviene durante queste cerimonie? Quante è importante per noi donne trovare, nella frenesia della nostra quotidianità, degli spazi tutti nostri e tornare a riunirci in cerchio?
Ci riallineiamo in primo luogo con lo scorrere ciclico del tempo, impariamo a seguire il tempo lunare, a collegarci su un piano energetico e non verbale. Ricostruiamo un filo tra le generazioni e questo è fondamentale per il benessere delle donne: le più grandi sostengono le più giovani e le più giovani vivificano le più grandi. I cerchi di donne sono in questo momento una grande forma di guarigione collettiva ed individuale, ma non è una banalità fare un cerchio. Se non si mettono in discussione i principi patriarcali su cui è fondata la spiritualità che troviamo in giro, non riusciremo a creare un vero cerchio di donne e in poco tempo tutto si dissolverà.
Ogni anno, nel mese di luglio, organizza un ritiro sciamanico in Val di Susa, che riscuote sempre un grande successo. Perché ha scelto proprio le vette della Val di Susa? A quali cerimonie, a quali pratiche vi dedicate durante il ritiro?
Sono le montagne su cui abito, i luoghi che amo e nei quali pratico. Ho iniziato tanti anni fa proponendo un rituale in onore della Montagna Madre, la più grande che c’è nella mia valle. Poi nel tempo si è trasformato in un vero e proprio ritiro di tre giorni. I ritiri li ricordo sempre con gioia: sono momenti in cui stiamo tutte insieme, mettendoci anche a dura prova, perché l’energia delle montagne è impegnativa. Tutto è molto “forte” in montagna: il sole cocente, il vento, il freddo, se il sole non c’è. A volte prendiamo la pioggia e camminiamo nel fango, ma quando affronti la montagna a livello rituale, ti fondi completamente con lei, senti l’energia della terra che ti sostiene e che ti sospinge in alto. Normalmente cominciamo onorando l’albero più anziano del luogo in cui siamo, la Madre di tutti gli alberi del circondario, e da lì prendiamo il radicamento e il nutrimento che ci sosterrà fino alla fine del ritiro. Poi ci spostiamo nei vari luoghi energetici della Valle, lavoriamo nelle grotte, alle cascate. Dipende dagli anni, ogni volta il ritiro è dedicato ad una diversa forma della Dea: l’anno scorso abbiamo lavorato con la volpe, altre volte con l’orsa o con la dea uccello. Alla fine della primavera salgo da sola alla montagna e sento con quale energia lavorare. Il giorno prima della salita alla grande Montagna prepariamo le offerte di fiori da portare su e ognuna cuce l’intento per la sua vita: quali cose vuole migliorare di se stessa e quali vuole lasciare andare, cuce la sua preghiera, poi la mattina all’alba e a digiuno saliamo su a portare i nostri doni. Questo tipo di ritualità cambia profondamente la nostra vita, ci insegna a sviluppare un rapporto affettivo con la Terra, perché la forza che genera l’incontro con quella grande montagna ci accompagnerà sempre. Per me che ci vivo ancora di più, chiaramente, ma a volte mi scrivono le donne che abitano lontano per dirmi quanto l’immagine della montagna e di noi lì tutte insieme dia loro forza nei momenti difficili, e questo è un grande dono anche per me.
Attualmente sta lavorando a qualche progetto? Quali appuntamenti L’attenderanno in questo nuovo anno?
Sono tornata a disegnare e a dipingere; in questi anni, tra figli, convegni, seminari, ho dovuto mettere un po’ da parte il lavoro artistico, ma è un’espressione troppo importante della mia anima e non posso trascurarla per molto tempo. Quindi ho in progetto una mostra ed una nuova performance rituale. Poi ci saranno i seminari, in particolare in primavera andrò al Sud, precisamente a Napoli e a Palermo, e sono molto felice di questo. Trovo tanto nutrimento in quelle terre: hanno conservato di più l’energia arcaica, la Dea si sente ancora nelle persone, nelle feste popolari, nella musica. E poi a luglio ci saranno altri due ritiri in montagna!